Il Dio dei vandali
e la città sommersa:
Agnano, che storie

Il Dio dei vandali e la città sommersa: Agnano, che storie
di Vittorio Del Tufo
Domenica 6 Giugno 2021, 10:17 - Ultimo agg. 7 Giugno, 13:13
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«Il padrone lo tirò per la coda fuori del buco; restò immoto sulla sabbia, la bocca aperta e piena di schiuma. Lo credetti morto»

(Akexandre Dumas, Il Corricolo)

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Narra un'antica leggenda che il grande Lago di Agnano, formatosi intorno al 1150 sul fondo dell'omonimo cratere, custodisse la memoria di una città sommersa, ricca di tesori e costruzioni fiabesche, come la maestosa villa di Lucio Licinio Lucullo, gemella della più famosa dimora che cento anni prima della nascita di Cristo si estendeva tra Megaride e il Monte Echia. A differenza della villa che sorgeva a Megaride, ovvero nello scoglio dove venne a morire Partenope - edificio celebre per i banchetti che vi si svolgevano, tanto che ancora oggi si ricorre all'espressione luculliano per indicare un pasto particolarmente lauto e delizioso - della «villa sommersa» di Agnano si è persa ogni traccia. È diventata un luogo della memoria, con i suoi tesori e i suoi segreti. Il lago di Agnano, custode di un passato mitico e leggendario, non esiste più: è stato prosciugato con una bonifica iniziata nel 1865 e completata nel 1870; per ammirarne lo splendore dobbiamo accontentarci delle numerose incisioni e guaches che lo ritraggono.

Marco Giglio, presidente del Gruppo Archeologico napoletano, è un vecchio amico dell'Uovo di Virgilio. È lui a guidarci, con lo speleologo Mauro Palumbo, in un affascinante viaggio nello spazio e nel tempo della zona termale di Agnano, luogo caro ai romani e prima ancora ai greci che vi veneravano gli dèi, come testimonia la presenza di un santuario dedicato al culto di Asclepio e delle Muse. All'epoca greca risalgono le prime strutture termali della conca, documentate dai blocchi di tufo su cui si ergeva il piccolo santuario. Le strutture di età ellenistica (IVIII secolo a.C.) sono ancora visibili nell'area delle attuali piscine termali, sul versante meridionale dell'antico lago. Le rovine che vediamo dislocate sulle colline adiacenti sono invece di epoca romana. Fu proprio con lo stanziamento dei romani che iniziò l'attività termale nell'area flegrea.

Bisogna raggiungere le pendici del Monte Spina, duomo di lava che si erge sul bordo meridionale del cratere di Agnano, per individuare i resti del grande stabilimento termale di età augustea e adrianea. Un fronte di trecento metri con ben sette livelli sovrapposti che seguivano il declivio del monte: un capolavoro di ingegneria. «Lo stabilimento - ci spiega Giglio, il nostro archeologo-cicerone - presentava una grande varietà di acque minerali e sfruttava le sorgenti di calore naturale provenienti dal fianco della collina del Monte Spina, alla quale la struttura si appoggiava». A decorare gli ambienti, le statue di Afrodite e Ganimede, Hermes con Dioniso bambino e Venere marina. Statue oggi conservate nei locali delle moderne Terme ma inaccessibili al pubblico.

Alimentato dall'acquedotto augusteo del Serino, l'impianto termale romano era una stazione di sosta per chi percorreva la via Neapolis-Puteoli. Il percorso aveva un andamento circolare, con soste successive: prima negli ambienti caldi (per la sauna), poi nei bagni (con temperature variabili) e infine nel frigidarium per il bagno freddo. Una delle zone era utilizzata come palestra: qui i frequentatori delle terme potevano effettuare esercizi ginnici o passeggiare sotto i portici. La potenza rigeneratrice dell'otium!

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Dopo la caduta dell'Impero Romano di Occidente, come tutti i grandi complessi termali dell'area, l'edificio fu abbandonato. Fu il Re dei Vandali Trasamondo, alla fine del quinto secolo, a ristrutturare l'impianto, esaltandone lo splendore e potenziandone l'impiego terapeutico. Con Trasamondo, che nei libri di storia viene ricordato come un sovrano debole e inadatto a governare, l'area di Agnano conobbe una nuova stagione d'oro.

Bisogna puntare invece la navicella del tempo più indietro per trovare le origini della famosa - e famigerata - Grotta del Cane, una cavità artificiale scavata tra il III e il II secolo a.C. presumibilmente con l'intento di utilizzare per fini terapeutici il vapore che vi si sprigionava. Il fenomeno della fuoriuscita di anidride carbonica dal sottosuolo l'ha resa, nel corso dei secoli, completamente impraticabile e addirittura letale per chi osasse penetrarvi.

La grotta, nota da sempre per i suoi vapori metifici, fu definita da Plinio il Vecchio Mortiferum Spiritum exalans. Il vicerè don Pedro del Toledo, famoso per i suoi metodi sbrigativi, vi fece rinchiudere due schiavi turchi condannati a morte.

La grotta è citata da Wolfgang Goethe nel suo Viaggio in Italia e da Alexandre Dumas padre nel Corricolo. Era teatro di macabri spettacolini, come quello da cui ha preso il nome. Per mostrare ai visitatori del Grand Tour le conseguenze delle emissioni, nella caverna veniva introdotto un cane assicurato con una corda. Il povero animale, investito dai vapori metifici, veniva poi estratto quasi morto dalla grotta e gettato nelle piscine termali per essere rianimato, sotto gli occhi del pubblico. Della macabra usanza parla diffusamente Dumas padre nel Corricolo e nel Trattato di chimica applicata alle arti del signor Dumas. La Grotta del Cane, oltre a incendiare la fantasia degli scrittori, è da sempre oggetto di studi e indagini scientifiche. L'anidride carbonica che invade la grotta si ferma nella parte bassa dell'antro, essendo più pesante dell'ossigeno. Se ne può verificare la presenza azionando un accendino: a contatto con l'anidride carbonica la fiamma si spegne immediatamente, ma se si abbassa lentamente l'accendino, lasciando libera la fiamma, rimarrà per un poco solitaria accesa nel punto di passaggio tra la zona con ossigeno e quella priva. Il combustibile sprigionato dall'accendino continuerà a bruciare grazie alla presenza dell'ossigeno, mentre l'accendino non avrà più la fiamma a contatto, ormai invaso dall'anidride carbonica. La fiamma danzerà lentamente nel punto di passaggio tra la vita e la morte!

La conca di Agnano è il più antico cratere del terzo periodo eruttivo dei Campi Flegrei: l'ultima eruzione risale a circa quattromila anni fa. Nel Medioevo, in seguito ai fenomeni legati al bradisismo, la conca formata dal cratere si trasformò in un lago, alimentato da ben 75 sorgenti termominerali con temperature sino a 75° C. Antiche miniature mostrano il lago pieno di rane e serpenti. La stessa origine del nome Agnano potrebbe derivare da Anguignano, per la moltitudine di serpi che si annidavano tra le felci che contornavano il lago (dal latino anguis, serpente). Ma la questione è controversa e c'è chi associa il nome del luogo ad Annianum, cioè ad un fondo di proprietà di esponenti della gens Annia, attestata a Pozzuoli in epoca romana. Nelle acque di Agnano re Alfonso I d'Aragona, nel 1451, trasferì la macerazione del lino e della canapa che prima, ai tempi degli Angioini, avveniva nella zona delle Paludi, al ponte della Maddalena. Non fu una grande idea: le esalazioni maleodoranti provenienti dalla macerazione resero l'aria irrespirabile e i Padri Cappuccini del Convento di San Gennaro a Pozzuoli cominciarono ad ammalarsi di febbri malariche, così chiesero al Municipio una zona di terreno per edificare la sede della loro dimora estiva, costruita poi sulla collina dei Camaldoli. 

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Lo svuotamento del lago - con il lento deflusso a mare delle sue acque - fu un'impresa a suo modo epica: ad occuparsene fu un imprenditore napoletano, l'ingegner Martusciello, che ottenne in cambio la proprietà dei suoli bonificati e delle terre demaniali circostanti. Con il prosciugamento dell'antico e pestifero lago ricomincia ad Agnano la storia del termalismo, che continua tuttora. Fu proprio il prosciugamento del bacino, iniziato nel 1865, a svelare il grande segreto del lago di Agnano: decine e decine di sorgenti termali, disseminate su tutto il fondo. «Liberate dalle acque che avevano alimentato per centinaia di anni - spiega Giglio - ora quelle sorgenti sgorgavano e ribollivano naturalmente dal suolo fangoso, a temperature diverse».

Nel 1887, un medico ungherese di nome Giuseppe Schneer, attratto dalla fama di cui l'Italia godeva presso gli scrittori stranieri, si recò a Napoli accompagnato dalla sua consorte e fedele collaboratrice, baronessa Von Stein Nordein. Non appena posarono gli occhi sui ruderi delle antiche terme si materializzò davanti ai loro occhi l'immagine di una cascata d'oro. 

(1-continua)

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