Il basso dei cinque pozzi e il mondo magico nel sottosuolo della Sanità

L'Acquaquiglia del pozzaro un luogo denso di mistero

Monaciello
Monaciello
di Vittorio Del Tufo
Domenica 31 Dicembre 2023, 11:29
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«O munaciello: a chi arricchisce e a chi appezzentisce» (proverbio napoletano)

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Gli appassionati di esoterismo lo considerano un antro magico, al confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Vi si accede da un basso, in via Fontanelle, tra le grotte scavate nel ventre di tufo della città. È l'Acquaquiglia del Pozzaro, luogo denso di mistero da sempre associato ai riti propiziatori che in questo luogo si svolgevano, in un passato remoto, anche grazie alle acque sorgive che scorrevano nel sottosuolo: acque oggi "ingrottate" nelle viscere della Sanità e di Materdei. Il mondo sotterraneo dell'Acquaquiglia del Pozzaro si apre oltre l'uscio di un'antica e tipica casa-bottega del Rione Sanità, a poca distanza dal Cimitero delle Fontanelle.

Napoli ha una storia ultramillenaria, ma è come se sotto questa storia si muovessero tanti percorsi o tunnel segreti, nei quali è conservato più di quanto non viene esposto, sicuramente è conservato molto di quello che ad un livello superiore è stato cancellato dalla storia, o dalle guerre, o anche dall'urbanizzazione incontrollata.

A due passi dal cimitero delle Fontanelle, nel cuore del rione Sanità, è possibile fare un tuffo nella Napoli di un tempo, quella che credevamo scomparsa ma che, a ben guardare, si dipana davanti ai nostri occhi. Anzi, sarebbe meglio dire sotto i nostri piedi. Grazie all'impegno di Vincenzo Galiero, fabbro con una robusta esperienza nel quartiere, rivive oggi un posto che si chiama Acquaquiglia del Pozzaro. Un nome che già da solo è un'attrazione.

L'ingresso è ricavato in un ambiente tufaceo, sotterraneo, scavato probabilmente nel Seicento dai "tagliamonte" dell'epoca. Un pozzaro in tela accoglie coloro che varcano l'uscio, mentre è Vincenzo ad accompagnare i visitatori a esplorare gli ambienti.

Scopriamo ben cinque pozzi dove anticamente gli abitanti della zona attingevano l'acqua, nei pressi di un antico convento oggi scomparso. Tutt'intorno, inseriti nell'ambiente tufaceo e umido, sono esposti antichi strumenti di lavoro, candele, vecchie sculture e riggiole. A tener banco è la storia del Munaciello, lo spiritello dispettoso delle case identificato con quei minuti pozzari che avevano libero accesso in alcune abitazioni - dove spesso solevano "consolare" le signore sole.

I cunicoli di Acququiglia facevano parte della casa del nonno di Vincenzo, che qui lavorava il baccalà all'interno di 14 vasche andate perdute. Eppure il luogo non ha perduto il suo fascino ctonio e sta attraendo moltissimi visitatori che s'incuriosiscono prima di mettere piede nell'antro ben più grande e famoso delle Fontanelle. Una zona che, fin dal nome, ha a che fare con piccole fonti d'acqua che erano presenti secoli fa, dal mitico significato di collegamento sotterraneo col mondo dei defunti. Aquaquiglia significa letteralmente "acqua della conchiglia" (fonte d'acqua) ed è un omaggio a una fontana del Cinquecento a forma di conchiglia che un tempo si trovava nei pressi della chiesa di Santa Maria la Nova.

Vincenzo Galiero, proprietario del basso, un giorno scoprì questo tesoro sotto i suoi piedi: cunicoli e antiche vasche usate come cisterne e pozzi. Spinto dai figli e dai racconti dei parenti tramandati di generazione in generazione, alcuni anni fa rispolverò questo "tesoro" di tufo fatto di pozzi e cunicoli.

«In questo basso costruito nel Seicento, negli anni 40 i miei nonni lavoravano il baccalà e lo stoccafisso che vendevano alle botteghe. Nel 2017 io e la mia famiglia abbiamo deciso di far conoscere anche al pubblico la nostra storia. Intendiamo anche contribuire, in questo modo, al riscatto sociale e culturale di uno dei quartieri più difficili di Napoli». Così, in cambio di un souvenir acquistato, di un'offerta o di una recensione su Tripadvisor, Vincenzo tiene aperte le porte (e i pozzi) per chiunque voglia addentrarsi in un viaggio nel passato, riscoprendo come viveva la città di un tempo.

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Ci troviamo in un luogo popolato da tante leggende. Una su tutte: quella del Munaciello, lo spiritello leggendario del folclore napoletano. Spirito di natura sia benefica che dispettosa, è di solito rappresentato come un ragazzino deforme o una persona di bassa statura, abbigliato con un saio e fibbie argentate sulle scarpe. La leggenda gli ha attribuito, com'è noto, poteri magici: dalla sue apparizioni potevano ricavarsi dei numeri fortunati da giocare al lotto. Il munaciello era in realtà l'antico gestore dei pozzi d'acqua (il "pozzaro"), il quale riusciva, per la sua statura piccola, ad entrare nelle case passando attraverso i canali che servivano a calare il secchio. Poiché spesso i pozzari non venivano pagati dai loro committenti, costoro si "vendicavano" entrando nelle case dei Signori e rubando per sé oggetti preziosi. Gli stessi oggetti preziosi, talvolta, venivano poi donati dai pozzari alle loro amanti, nelle cui case i gestori dei pozzi si intrufolavano sempre attraverso i canali per calare il secchio. Anche per questo la leggenda vuole che il Munaciello talvolta rubi, talvolta doni.
Nelle viscere della metropoli tutto si confonde. Mito, storia, archeologia, speleologia, riti pagani, culti misterici, cunicoli segreti, storie maledette. Alle Fontanelle, tra filari di ossa disposte a strati, il mondo dei vivi e quello dei morti sono in contatto da secoli. I teschi, le capuzzelle, rappresentano le anime in pena del Purgatorio. Anime povere, pezzentelle, che chiedono ai vivi un rito di compassione, offrendo soccorso e protezione in cambio di preghiere e messe in suffragio. «È un teatro della memoria viva», come osserva l'antropologo Marino Niola, «perché le presenze che abitano gli ipogei non hanno mai abbandonato il luogo natio: semplicemente assumono sembianze diverse per continuare a intrattenere rapporti con i viventi. Come i fantasmi di Eduardo».

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Tra il 26 maggio e il 7 settembre 1886 lo scrittore Francesco Mastriani pubblicò a puntate sul Roma il racconto La iena delle Fontanelle, incentrato sulla figura di una feroce donna-vampiro che aveva scelto l'ossario delle Fontanelle per i suoi loschi e sanguinolenti traffici. Lo scrittore dipinse le Fontanelle con sfumature decisamente horror («Erano un covo di malfattori, di banditi, di gente di mal'affare, di fattucchiere e stregoni, imperciocché non ancora si era giunto a estirpare la mala semenza di queste rie femmine e di questi furbi malandrini che si spacciavano confidenti e compari di messer lo diavolo») ispirandosi alla vasta letteratura che sul tema del vampirismo - complice una sorta di psicosi di massa - era andata diffondendosi nelle regioni europee e balcaniche nel corso del Settecento. La cattiva fama di cui, ai tempi di Mastriani, godeva la zona era dovuta in larga parte a una leggenda nera nata alcuni secoli prima, leggenda secondo la quale nei pressi delle Fontanelle viveva una coppia di oscuri personaggi, lo stregone Tre Scale e sua moglie, una fattucchiera di nome Lupecchia. O forse, secondo un'altra ricostruzione, ad abitare nelle vicinanze della grotta erano un'alchimista con la sua compagna, ai quali le donne del borgo si rivolgevano per ottenere miracolosi unguenti e filtri d'amore.

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