Dormono sulla collina
i giganti di tufo
nel paradiso perduto

Dormono sulla collina i giganti di tufo nel paradiso perduto
di Vittorio Del Tufo
Domenica 25 Aprile 2021, 20:00
6 Minuti di Lettura

«Natura è tutto quello che sappiamo senza avere la capacità di dirlo» 

(Emily Dickinson)

* * *

Tra i colli spunta una città segreta. È una giungla urbana disseminata di grotte, giganti di tufo spettacolari come gli ipogei della Napoli sotterranea, che dormono nell'antica valle bagnata un tempo dalle acque di un piccolo fiume, Bellaria, tra versanti scoscesi e ruderi di un mondo perduto. Un polmone verde che un tempo doveva essere simile al paradiso, e ogni giorno scivola verso l'inferno, tra degrado, abbandono e quattrini sperperati. È il vallone San Rocco, lo storico canalone naturale inglobato nell'area tra il nuovo Policlinico, il Frullone e i Colli Aminei: scampato all'espansione urbana del secondo dopoguerra, rischia di non sopravvivere agli scarichi fognari, ai rifiuti e ai materiali di risulta che qui vengono sversati a partire dagli anni del sacco della collina e dell'urbanizzazione di via Nicolardi, dei Colli Aminei, dei quartieri a ridosso della cittadella universitaria. Un luogo della memoria tuttora al centro di numerosi progetti di riqualificazione, dannatamente belli, dannatamente immobili.

* * *

È il 1972 quando i primi archeologi, armati di machete, scoprono il canyon metropolitano. Un'impresa degna di Indiana Jones. «Impiegai quasi un anno - ricorda Clemente Esposito, decano del sottosuolo - per eccedere, rilevare e cartografare tutto il vallone». A quell'epoca, dal Ponte Vecchio di San Rocco (quota 142 metri) una strada sterrata si inerpicava fino a via Tommaso de Amicis (quota 234 metri), dove oggi sorge il Policlinico federiciano. La strada del vallone iniziava costeggiando una profonda scarpata sulla sinistra, mentre sulla destra si notavano gli accessi alle vecchie cave: 11 quelle individuate e censite. Hanno un'estensione di quasi 100mila metri quadri e altezze che in alcuni casi raggiungono i 60 metri. Qui si è estratto fino al 1980 e i veicoli percorrevano la strada sterrata per andare a caricare i conci di tufo. Quest'antica valle, sorta 12mila anni fa da un'eruzione dei Campi Flegrei, fu teatro di un clamoroso sciopero dei cavaioli nel 1910. Dalle cave del vallone San Rocco si estraeva il materiale per le costruzioni che cambiarono il volto di Napoli nella lunga stagione del Risanamento. Durante l'ultima guerra, le spelonche furono utilizzate sia come ricoveri che come officine belliche per la manutenzione di piccoli aerei. Funzionarono anche come deposito per la 114 Maintenance Unity, l'impresa addetta alla manutenzione dell'esercito alleato.

Con il tempo, dismesse le cave, il canyon si è trasformato in una giungla: sotto le piante da alto fusto sono cresciuti folti grovigli di rovi, che pendono come liane dai rami degli alberi. E poi carcasse di auto, lastre di amianto e mostruose voragini. Gli accessi alle cavità sono parzialmente nascosti, in alcuni tratti, proprio dalla vegetazione cresciuta indisturbata.

L'area verde, inserita tra i «luoghi del cuore» del Fai, è nota anche con il nome di Vallone Saliscendi. Considerato un sito strategico per la biodiversità napoletana, vi trovano riparo e protezione numerosi animali, in particolare uccelli che durante le fasi di migrazione possono sostare ed alimentarsi lontano dal frastuono dei quartieri limitrofi. Uccelli rapaci come l'allocco, lo sparviero (dal greco sparasso: l'uccello che dilania), gheppi e poiane. Documentata anche la presenza del barbagianni e dell'animale più veloce del pianeta: il falco pellegrino.

* * *

Lungo il percorso del Vallone - nei primi anni dell'800 riserva di caccia di Gioacchino Murat, che dimorava a villa Faggella, ex palazzo Paternò, in Cupa delle Tozzole - si incrociano antiche masserie e i ruderi dell'antico «muro finanziere», confine daziario esteso per circa 20 chilometri. Il muro fu costruito nel 1827 e si sovrapponeva allo storico percorso dello Scudillo. Negli anni Trenta del 900 il percorso fu rettificato con il collegamento tra Capodimonte e la nuova zona ospedaliera: era l'alba dei Colli Aminei, nome che deriva da un'antica popolazione della Tessaglia che impiantò sulla collina di Capodimonte numerosi vigneti che producevano il famoso vino amineo, chiamato dai romani Falerno. Il nuovo tracciato seguì, in parte, l'antico percorso daziario rendendolo tuttavia irriconoscibile.

Nel secondo dopoguerra, parchi e campi secolari furono lottizzati e occupati dall'edilizia fittissima che ha stravolto l'antica fisionomia della zona.

Così il vallone è diventato un luogo della memoria. Un luogo che riserva sorprese a ogni angolo. In via Vecchia San Rocco ecco il viale d'accesso originario di villa Campbell, poi De Rosa, ora sede dell'istituto Pia Società figlie di San Paolo. Nel 700 apparteneva al monastero di San Pietro a Majella, con la soppressione degli ordini religiosi fu concessa in usufrutto all'abate inglese Enrico Campbell che alcuni anni dopo la acquistò. Frammenti di un mondo scomparso.

Il tracciato di via Nicolardi ricalca, invece, uno degli alvei secondari del vallone San Rocco, interrato negli anni Sessanta per consentire la realizzazione dei fabbricati che conosciamo oggi. A ridosso di via Saverio Gatto e Cupa Orefici allo Scudillo incontriamo la masseria Suarez, che faceva parte di una proprietà più ampia appartenuta nell'800 alla famiglia Suarez e da questa ceduta alla Confraternita dei Pellegrini. Procedendo ancora su Cupa Orefici allo Scudillo, fino a lambire le costruzioni moderne del Parco Avolio (via Nicolardi) ecco villa Caccuri-Orefice, grande dimora ottocentesca adibita a partire dai primi anni Venti del secolo scorso, e fino a pochi anni fa, a edificio principale di una più vasta struttura sanitaria: la clinica Colucci.

Nel 2012 il Comune annunciò un ambizioso progetto di recupero del vallone con la creazione di un parco pubblico urbano di 100 ettari, collegato con il Bosco di Capodimonte, a poca distanza. Erano previsti spazi ricreativi, aree per il picnic, zone ciclabili e comodi ingressi davanti alla stazione metro dei Colli Aminei. Il primo problema è sorto con gli espropri, anche per la difficoltà di rintracciare i proprietari dei numerosi terreni lottizzati negli anni 60. Ma a creare le difficoltà maggiori sono stati gli scarichi che finivano dritti nell'alveo San Rocco (l'antico corso che si innesta nel fiume Bellaria).

Nel primo tratto, lato San Rocco, la strada si presenta asfaltata: merito dei lavori realizzati con i fondi della Comunità Europea, poco più di tre milioni di euro. Ma è un'illusione che dura poco: appena più avanti, verso il viadotto della metropolitana, enormi voragini scoraggiano chi avesse intenzione di proseguire. L'instabile cavità presente sotto via Nicolardi è stata riempita e messa in sicurezza. E al posto del «centro ricovero» per gli sfollati del terremoto del 1980 è sorto il parco di via Nicolardi. Doveva rappresentare una porta d'ingresso nel vallone: è rimasta una piccola oasi nel deserto.

Oggi vince il degrado. «A ogni pioggia - ci racconta Giuliana de Lorenzo, consigliera della terza municipalità, archeologa e studiosa della città collinare - la strada che costeggia l'alveo del fiume si riempie di fango diventando impraticabile». È il risultato di anni e anni di accumulo di materiali di risulta e rifiuti interrati sotto la folta vegetazione. Accanto alle cave in disuso, giganti di tufo che dormono sulla collina, ve ne sono altre - di proprietà privata e dai confini ben delimitati - alle quali è impossibile accedere. I proprietari puntano a un imminente restauro proprio allo scopo di restituire la zona delle grotte all'antico splendore.

* * *

Cavità a parte, riteniamo che sia un intollerabile spreco che al centro di una zona così densamente e caoticamente urbanizzata sopravviva un'oasi con tanto verde e quest'oasi sia inutilizzata, trasformata in un cimitero di rovi. Nonostante i 31 milioni di euro ricevuti dal Cipe (nel 2004) per mettere in sicurezza l'intera area, il vallone versa ancora in uno stato di degrado e di abbandono. Le associazioni di cittadini (dal comitato civico Frullone-San Rocco al gruppo Fb «Salviamo il Vallone San Rocco») sono impegnate da anni in una meritoria battaglia per rilanciare l'immagine della «valle dei giganti» e trasformarla in un parco urbano accessibile a tutti. La loro voce va ascoltata. Se Napoli continua a occupare le ultime posizioni nella classifica della qualità della vita è anche perché progetti come quello della riqualificazione del vallone San Rocco sono rimasti lettera morta. La Grande Bellezza sprecata. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA