Nessuna tradizione come quella napoletana ha trovato tanti alfieri fra i grandi chef che hanno contribuito ad aggiornarla e ad innovarla rendendola ancora più viva. «La tradizione è una innovazione ben riuscita ricorda il menu del Don Alfonso - e solo dopo averla studiata si può andare oltre». L'innovazione del don Alfonso è nel piatto che troverete nel volume ricettario del Mattino in edicola domani Gli chef e la cucina napoletana (pagine 144, venduto in abbinamento con il quotidiano a 3,90 euro) e curato dal sottoscritto con Santa di Salvo: «Proponemmo il Vesuvio di rigatoni ci dice Alfonso Iaccarino lanciando una sfida: pasta, pomodoro e olio d'oliva al centro della tavola moderna, tre ingredienti che i critici del Nord bandivano e criticavano a noi del Sud. Adesso ci si sono dovuti adattare».
Un altro grande innovatore è stato Gennaro Esposito: «In questo mondo globalizzato il segreto è restare italiani, ossia caratterizzarsi per qualcosa che altrove non si trova.
Il rimbalzo della tradizione è sempre stata una peculiarità degli stellati della Penisola: «In questa pandemia mi sono reso conto che le persone cercano semplicità - dice lo stellato Peppe Guida - Secondo me nel menu la pasta secca non deve mai mancare, è indispensabile interpretarla e proporla in modo nuovo, con porzioni più piccole e meno grassi, ma è un punto di riferimento assoluto che ci fa sentire italiani».
«Sono napoletano - dice Lino Scarallo di palazzo Petrucci - per me il ricordo è fondamentale nell'approccio ai clienti. Non mi interessa scimmiottare altre tradizioni, la nostra è talmente forte che è inesauribile. La mia pastiera scomposta è diventata un classico che tutti imitano, come anche la caprese di gamberi e pomodori. Rispetto al passato servono più leggerezza dei piatti e maggiore divertimento».
Ma è bello anche ribadire i classici in purezza: «La tradizione napoletana della pizza fritta - dice Gino Sorbillo - è modernità, una scoperta piacevole per le giovani generazioni, soprattutto di non napoletani che l'hanno scoperta in tutta Italia, a cominciare da Milano dove avevano previsto la nostra chiusura per mancanza di clienti. Ora abbiamo il problema di raddoppiare». «La pizza napoletana tradizionale resterà un classico intramontabile -afferma Ciro Salvo - certo abbiamo lavorato sugli impasti e questi ci hanno portato ancora più avanti».
Dagli stellati alle trattorie. «Nelle case non si cucina quasi più, i tempi sono cambiati - dice Angela Gargiulo della Buatta al Vomero - Vedo emozioni nella gioia dei nostri clienti quando riproponiamo piatti del passato ormai scomparsi, come i semplicissimi spaghetti del poverello, ossia con uovo fritto e cacio, l'antesignano della carbonara».
Conferma Giovanni Sorrentino, una vita a fare gavetta nelle migliori cucine del mondo per poi aprire un proprio spazio a Sant'Antonio Abate: «I punti forti della mia cucina: piatti ben eseguiti con l'ausilio delle nuove tecniche. Non ha caso il più richiesto sono i mezzanelli allardati, una trafila che stava ancora scomparendo».
«La nostra generazione è stata fortunata - dice Antonio Petrone, che ha appena chiuso il suo ristorante Pensando a Te in vista di nuove avventure - La strada ci è stata aperta dai grandi e noi abbiamo solo il compito di seguire questa strada, giocando di rimbalzo con la tradizione. Ci sono aspetti da sviluppare, studiare, approfondire».
«Un grande chef deve sapere fare tutto - chiosa Alfonso Caputo, lo stellato della Taverna del Capitano - Da me lo spaghetto alla Nerano non può mi mancare anche perché lo richiedono tutti».
La tradizione è una innovazione, la tradizione è una novità. La tradizione è divertimento, come lo spaghetto con le vongole fujiute dello stellato Paolo Gramaglia del President: «Le idee più belle vengono dalla necessità, dalla povertà. Chi ha chiamato così questo piatto è stato un genio e noi lo riproponiamo appena alleggerito».