Super Mario, da portapizze a manager: «Mancia di 20 cent, così sono emigrato»

Super Mario, da portapizze a manager: «Mancia di 20 cent, così sono emigrato»
di Maria Pirro
Lunedì 24 Maggio 2021, 09:00
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Il suo Gulliver lo ha portato a Ginevra, per due volte, fino al palazzo delle Nazioni Unite. Mario Ottiglio, un portapizze come tanti ventenni, è partito per la prima volta subito dopo la laurea in Scienze politiche. E, tornato a Napoli, si è rimesso in viaggio. Senza più voltarsi indietro. Umiliato, ha premuto il piede sull'acceleratore un sabato sera che ancora ricorda. «Consegno 25 Margherite per una mancia di 20 centesimi. E il padrone di casa, che mi chiede: Ok? È lì, in quel preciso momento, che scatta qualcosa», racconta il 40enne diventato manager.

La sua avventura comincia così, ai tempi dell'Università, inseguendo sin dal principio denaro e sogni, sogni e denaro. «Suono la batteria in una band.

Con Il Vortice incido due dischi, la speranza è di fare breccia in un mondo impossibile», riconosce. «Faccio il portapizze e anche il merchandiser nei fine settimana. Divento il presidente in un movimento studentesco nazionale, quindi decido di raggiungere la città svizzera per sfruttare le conoscenze accademiche, soprattutto nel campo delle relazioni internazionali. In tasca ho una tesi sul trattato di non proliferazione nucleare». E Ottiglio riesce a entrare nella missione permanente italiana all'Onu. «Come stagista, non pagato, e in un posto dove un chilo di Sammarzano, che qui chiamano tomate Torino, costa l'equivalente di 5 euro», spiega. L'esperienza è bella, ma finisce, non arriva il contratto. Quindi, Mario rientra a Soccavo, dai genitori. «Suono, sogno e faccio il portapizze con il Gulliver sgangherato per le strade del Vomero». Dove avviene l'incidente diplomatico. « Descrivo via messaggio a un'amica la situazione e, nel rileggere la conversazione, mi rendo conto che è inutile restare. Meglio cercare un'opportunità fuori, e dire almeno di averci provato. Di nuovo a Ginevra, faccio un rapidissimo esame e divento una guida nel palazzo delle Nazioni Unite. Mostro ai turisti, per lo più indisciplinati, le sale e spiego anche alcune cose politiche, bagaglio della formazione partenopea. È un impiego che mi piace, ma la paga misera». Non basta anche se SuperMario vive nella mansarda nella casa del custode di un cimitero per 600 euro al mese e si mantiene con i risparmi che ha messo da parte con i lavori in pizzeria e per il merchandising e con un contributo dei suoi. «Che mi imbarazza moltissimo», aggiunge. Ma, questa volta, non vuole fare dietrofront. «Insisto con stage gratuiti, porto i cani a fare la pipì. Non mangio a pranzo e uso i buffet dei vari ricevimenti di lavoro per colmare il vuoto nello stomaco. Sono determinato. Faccio anche da consulente per varie Ong, curo alcuni dossier, cerco una stabilità». E ottiene una posizione junior nella federazione internazionale dell'industria farmaceutica. E anche quel giorno lo ricorda ancora: «Per celebrarlo, mi getto vestito nelle fontane davanti al palazzo dell'Onu», sorride. «Nulla di illegale, gli spruzzi sono fatti per far giocare i bimbi. Da lì il mio percorso è in ascesa, piacevole e dura. A 26 anni un mondo dominato da anglosassoni è una bella sfida». Portavoce per diversi programmi di sviluppo, Ottiglio si occupa dei rapporti con i giornalisti, prende la parola conferenze, rappresenta l'azienda a riunioni Oms e Onu. «Parlo anche un paio di volte all'Assemblea generale, rappresentando prima la mia industria. Proprio nella sala che fanno vedere in tv», dice con orgoglio. Nel 2016, decido, però, di creare un'agenzia di consulenza «senza dovere sempre seguire la linea o i dettami della politica». Stringe un accordo con un gruppo americano che ha intenzione di espandersi sul mercato europeo. «Compiuti i 35 anni, voglio provare la strada imprenditoriale. E questo lavoro va bene, forse è addirittura più stressante, ma ne apprezzo la libertà». Ottiglio non lo considera comunque un punto di arrivo «perché l'essere in movimento rende vivi». Resta che la vita dell'espatriato non è facile «perché la propria identità è in qualche modo frammentata. La mia percezione è che l'italiano all'estero resti un cittadino di serie B. E sai sempre che se succede qualcosa giù non sei a 20 minuti ma se ti va bene a 10 ore». Non solo. «Parli un'altra lingua, altre lingue. E in ogni lingua diversa non sei tu, ma un'altra versione di te stesso. In ufficio, a casa». Persino con le figlie: «Anche se le bimbe parlano quattro lingue, inclusa la tua, quando la più piccola si rivolge a te in inglese, ti senti un marziano». Tornare indietro? «Tutti ci pensano, ma non è cosi semplice», spiega Mario. «Vista da fuori, c'è veramente ancora molto da fare per dare il giusto peso alle esperienze maturate all'estero, essere competitivi a livello salariale, migliorare la pubblica amministrazione, programmare una visione di Paese rivolta al futuro, abbandonando temi da quartiere, promuovere una società aperta, multiculturale, informata. Sarebbe bello, un giorno. Magari». Una pausa, e conclude: «Idealista, eh? Se potessi portare qualcosa sempre con me, direi il mare. E la pizza». Ma senza più consegne. 

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