Piero, il tour operator più social: «Così racconto New York a un milione di italiani»

Piero, il tour operator più social: «Così racconto New York a un milione di italiani»
di Maria Pirro
Lunedì 30 Settembre 2019, 07:30 - Ultimo agg. 15 Ottobre, 19:42
4 Minuti di Lettura
L'appuntamento è nel luogo più caotico del mondo: a Times Square, sotto la scalinata rossa e le insegne luminose, all'incrocio tra Broadway e la Seventh Avenue. Nel posto più affollato a qualsiasi ora del giorno e della notte, dove facce e razze già si confondono tra semafori, rumori, venditori; figurarsi senza connessione al cellulare. D'improvviso, il segnale. Il dialetto diventa richiamo. Canto delle sirene irresistibile. Stesso accento, intonazione naturale. E, all'unisono, le voci danno forma a una figura vista così tante volte dagli internauti fino a risultare familiare.
 
Difatti, la comitiva napoletana saluta Piero Armenti come fosse un cugino d'America, intraprendente e a lungo a distanza ammirato prima di incontrarlo, il contatto ricercato e possibile non appena si sbarca in terra straniera. È lui, il protagonista de Il mio viaggio a New York, pagina su Facebook da 1,2 milioni di mi piace grazie ai video artigianali e curati, l'ironia, la fatica quotidiana e la poesia nascosta dietro l'inquadratura di un ponte diverso da quello di Brooklyn (ma senza rinunciare alla passeggiata a Dumbo, che resta spettacolare, o al lusso mostrato evitando la puzza sotto il naso). «Ho iniziato scrivendo soltanto testi, una sorta di diario, cinque anni fa introducendo un modo differente di comunicazione, allora in anticipo sugli altri», spiega questo ragazzone di 39 anni, mostrando nel contempo una curiosità insaziabile che, anzi, prevale spesso sul tentativo di volersi, e doversi, raccontare. Ha gli occhiali in celluloide. Ha lo sguardo limpido o più acuto, non distratto ma pronto a distaccarsi per chissà quale avventura, uno spazio della mente, e la erre è inconfondibile: quella che dietro la telecamerina dello smartphone lo rende un po' impacciato, pur restando perfettamente a suo agio. «Sono originario di Salerno, emigrato per disperazione come tanti», racconta, riavvolgendo il nastro della storia. Armenti decide di partire dopo la laurea in Giurisprudenza ma si dirige verso sud. Per l'esattezza, approda nel Venezuela degli anni Duemila e dei Forum e lì collabora con diversi giornali e riviste, tra cui il settimanale Panorama. Poi decide di tornare, cullato in Italia dai panzarotti di mammà tanto pubblicizzati con foto on line anche adesso. Vince un concorso e frequenta il dottorato, di durata triennale, all'università Orientale. Ma, da Napoli, si sposta di nuovo per uno stage. Rieccolo all'estero. Morde la Grande mela, ne coglie il sapore. Trasloca nel Queens, quartiere di periferia che considera tranquillo, con le sue case basse che sembrano Lilliput di fronte ai grattacieli, e purtroppo la zona è ora associata alla misteriosa morte dello chef Andrea Zamperoni.

In principio Piero lavora per un'impresa privata specializzata nel marketing e nel tempo libero condivide con gli amici della Rete le sue impressioni. Armenti oggi è estremamente impegnato perché produce due filmati ogni 24 ore, oltre a una serie infinita di piccole realtà virtuali, appuntamenti paralleli quanto apprezzati. Il giovane si definisce un urban explorer, formula che utilizza anche nei link sponsorizzati sui social per veicolare ancor meglio una passione trasformata in mestiere. «La mia è una vicenda controcorrente per il linguaggio originale presentato a un grande pubblico, al punto che da qualche mese mi chiedono di pubblicare libri, e un romanzo per i tipi di Mondadori, e perché ho creato l'unico tour operator italiano presente qui. Ho aperto un ufficio in centro, che è più frequentato del consolato, qualcosa che non ha precedenti», dice soddisfatto, spiegando le diverse ragioni della popolarità ottenuta, paradossalmente, stando all'estero. Una su tutte: la scarsa conoscenza dell'inglese tra uomini e donne della penisola, non solo da Roma in giù. La sua società propone itinerari a piedi e in autobus, dall'alba no-stop. L'esordio con il tour dei rooftop che è guidato anche da Antonio Minervini, più noto come Tony Tooslick , milanese di grandi qualità testate oltreoceano negli ultimi nove anni. «Sono cresciuto, però, con le orecchiette pugliesi della nonna» rivela divertito. Educatissimo, il profilo distinto ma capace di tirar fuori un urlo alla Pavarotti quando si tratta di richiamare l'attenzione del gruppo. Il 40enne avverte senza troppi giri di parole: «Per fare affari e guadagnare tanto, qui occorre imparare a nuotare tra gli squali di Manhattan. Stare dietro a due o anche tre lavori. Io, ad esempio: la mattina faccio consulenza per aziende italiane che vogliono fare business negli Stati Uniti, o viceversa attraverso le mie società; la sera sono l'uomo della movida pronto a chiacchierare e a dare una mano ai connazionali con cui il dialogo continua attraverso Instagram». Su una terrazza decisamente in, Tony ha conosciuto la moglie Cristina. Piero no: «Ho tanti amici e amo solo New York».
© RIPRODUZIONE RISERVATA