Walter Ricciardi e la sua Napoli: «Studiavo anatomia sul set con Mario Merola»

Walter Ricciardi e la sua Napoli: «Studiavo anatomia sul set con Mario Merola»
di Maria Chiara Aulisio
Venerdì 22 Ottobre 2021, 16:00
5 Minuti di Lettura

Walter Ricciardi, napoletano del Vomero, maturità al Giambattista Vico e laurea in Medicina (con lode) alla Federico II - volto noto a chi, in ansia da Covid, durante il lockdown lo ascoltava come il Messia - ancora le ricorda quelle notti insonni per l'ansia, stavolta la sua, di girare una scena d'amore con Stefania Sandrelli. Forse non tutti sanno che il super professore - ordinario di Igiene alla Cattolica, direttore scientifico della Maugeri di Pavia, consulente del ministro alla Salute e titolare di vari altri incarichi in ambito nazionale e internazionale - vanta una più che onorevole carriera di attore. Alida Valli, Giuliana De Sio, Michele Placido, Maria Schneider e soprattutto Mario Merola, sono alcune delle star con cui ha condiviso pellicole e sceneggiati. 

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Professore, andiamo con ordine.
«Vuole sapere come ho cominciato? Per caso, da bambino: a Napoli si girava I ragazzi di padre Tobia, una serie televisiva prodotta dalla Rai.

Mio zio aveva un amico che cercava comparse. Mi portò a fare un provino e venni ingaggiato».

Poi però ci ha preso gusto.
«In realtà ero un ottimo baby attore: imparavo la parte facilmente, seguivo il copione alla perfezione e nello stesso tempo andavo pure bene a scuola il che, ovviamente, metteva tranquilli i miei genitori che all'occorrenza mi consentivano di saltare qualche lezione».

Voleva fare il medico o l'attore?
«Il medico. Tant'è che pur avendo diverse proposte di lavoro tra cinema e televisione, dopo la scuola mi iscrissi subito all'Università».

Da studente in Medicina continuava a recitare?
«Certo: è così che mi sono pagato gli studi. E a 21 anni mi selezionò Ciro Ippolito, intraprendente produttore napoletano, tra i primi a capire le potenzialità della sceneggiata e la sua valenza cinematografica: L'ultimo guappo fu un successo strepitoso, arrivò perfino al Madison Square Garden di New York».

Il film con Mario Merola, dice?
«Interpretavo il figlio, e facevo pure una brutta fine: accoltellato sotto i suoi occhi».

Che ricordi ha del re della sceneggiata?
«I migliori. Con lui ho girato anche Il mammasantissima e Napoli, la camorra sfida, la città risponde, diretti entrambi da Alfonso Brescia. Che dispiacere quando è morto».

La sua Napoli da attore.
«Ero popolarissimo, ricordo che ovunque andassi mi riconoscevano. Nella zona del Pallonetto di Santa Lucia poi era un trionfo: non potevo camminare, fermate continue».

Una star, insomma.
«Recentemente, durante una riunione del G20, l'ambasciatore italiano in Corea, mi guarda e dice: Professore ma lei ha fatto l'attore?».

L'ambasciatore?
«Rimasi un po' sorpreso anche io. Mi spiegò che era un appassionato di sceneggiata, quelle con Merola le aveva viste tutte e ricordava anche il mio volto ».

E il ciak erotico con la Sandrelli? Racconti.
«Tre notti in bianco passai».

Per l'agitazione?
«Avevo solo 18 anni, sapevo di dover girare una scena d'amore sulla spiaggia con Stefania Sandrelli - giovane e bellissima - davanti a un plotone di telecamere».

Di che film si trattava?
«Io sono mia, da un romanzo di Dacia Maraini. Tutte donne le protagoniste tra cui una straordinaria Maria Schneider. Michele Placido e io gli unici uomini».

La trama?
«La storia raccontava la liberazione sessuale di Vannina, ovvero la Sandrelli, donna sottomessa a un marito rozzo e maschilista, Michele Placido. Prima lo tradisce con un ragazzino, che ero io, e poi si dedica alla lotta femminista e all'amore omosessuale con Suna, la Schneider».

Bel cast.
«Attori eccellenti. Girammo interamente in Spagna. Era l'anno della maturità, rimasi lì da aprile fino a qualche giorno prima dell'esame, che superai, nonostante il film, con il massimo dei voti».

Bravo, però.
«Memorizzavo bene. A casa ho sempre studiato poco ma a scuola il rendimento era ottimo».

Questione di memoria.
«Avevo 4 anni, mio zio mi portava in giro come un fenomeno: conoscevo tutti i calciatori delle figurine Panini. I nomi, le squadre, le città dove erano nati. E poi le capitali del mondo, nessuna esclusa. In famiglia passavo per bambino prodigio».

Oggi è una delle voci più autorevoli in ambito scientifico sul fronte Covid. La domanda è d'obbligo: siamo fuori o no da questa pandemia?
«Fino a quando ci saranno paesi dove il virus continuerà a circolare, non ci potremo mai dire liberi dal virus. L'Italia vive una condizione certamente favorevole rispetto ad altri paesi grazie ai provvedimenti messi in atto ma questo non vuol dire che siamo autorizzati ad abbassare la guardia».

Fa riferimento al rischio varianti?
«Il virus si moltiplica e aggira le resistenze. Dobbiamo continuare a produrre vaccini e immunizzare tutta la popolazione mondiale. Azzardo una previsione: se scavalliamo l'inverno alle porte, il 2022 potrebbe essere in discesa».

Cambiando tema, ma quella scena d'amore con Stefania Sandrelli come andò a finire?
«Molto bene, direi. Devo ammettere che fu bravissima: da attrice già esperta riuscì a mettermi a mio agio facendomi vincere ogni imbarazzo e placando la mia ansia».

Rimpiange il mondo del cinema?
«Ma no. Sapevo che non sarebbe stato quello il mio futuro. L'ultimo sceneggiato ricordo che l'ho girato con Elena Sofia Ricci. Mi laureai subito dopo la registrazione. Poi il trasferimento a Londra, quindi a Roma e da lì il resto della mia carriera».

A Napoli? Torna spesso?
«Molto poco, e me ne rammarico. Ma non la dimentico. Sarebbe impossibile».

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