Cannes 2022, Mario Martone in concorso con Nostalgia: «Fare cinema a Napoli è una dolcezza speciale»

Cannes 2022, Mario Martone in concorso con Nostalgia: «Fare cinema a Napoli è una dolcezza speciale»
di Titta Fiore
Mercoledì 25 Maggio 2022, 07:00 - Ultimo agg. 26 Maggio, 09:21
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Tornare a Cannes è sempre «una grande gioia», soprattutto se inattesa: «Il direttore Frémaux ha preso Nostalgia su una copia lavoro, abbiamo saputo di essere in concorso solo il giorno prima dell'annuncio ufficiale. È stata una bella sorpresa». È una stagione magnifica, per Mario Martone, che in nove mesi è stato in gara nei due festival più importanti del mondo, prima a Venezia con «Qui rido io» e ora a Cannes, ha inaugurato la stagione del San Carlo con «Otello» e il 20 giugno firmerà alla Scala un «Rigoletto» con Nadine Sierra, per non parlare dei premiatissimi film-opera realizzati con l'Opera di Roma e con la Rai. Insomma, un anno pieno di soddisfazioni vissuto al massimo: «Sì, un anno stupendo e molto impegnativo. Lavoriamo, come sempre, sentendoci parte di un grande cantiere». Con «Nostalgia» rappresenta l'Italia sulla Croisette e c'è molto calore intorno al film tratto dall'ultimo romanzo di Ermanno Rea, accolto da moltissimi applausi, e totalmente immerso in un quartiere, la Sanità, dove il bene e il male s'intrecciano per storia antica e dove il racconto sociale, così caro a Rea, finisce per diventare altro, un potente, asciutto apologo morale. Pierfrancesco Favino è Felice Lasco, il protagonista. Quarant'anni prima era fuggito in Medio Oriente perché coinvolto in un fatto di sangue, lasciandosi alle spalle la famiglia, l'amico d'infanzia con il quale condivideva un segreto, i sogni di ragazzo, tutto. Tornato per accudire la madre morente, ormai estraneo al rione, si accorgerà ben presto che certi legami non si recidono mai. Nei panni di don Luigi Rega, il prete che, formandoli, regala ai ragazzi del quartiere una speranza di futuro, Francesco Di Leva dà al personaggio l'energia solidale di padre Antonio Loffredo, il parroco della Sanità cui Rea si era ispirato. Scritto da Martone con Ippolita Di Majo durante il primo lockdown, prodotto da Luciano e Carlo Stella e Carolina Terzi per Mad Entertainment, da Roberto Sessa per Picomedia e Giampaolo Letta per Medusa, «Nostalgia» esce oggi in 450 copie, un numero importante che dà il senso della rilevanza dell'operazione. 

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Come si è avvicinato al romanzo, Martone?
«Per la prima volta ho accettato di fare un film su proposta del produttore.

Luciano Stella mi ha chiesto di leggere il libro, che mi ha colpito profondamente. Intuivo anche le difficoltà, pensavo per esempio di dover evitare la retorica della solidarietà, perché la materia del racconto era assai più aspra e incandescente. Con Ippolita Di Majo abbiamo cercato di scarnificare la struttura del romanzo per farne un racconto morale. I personaggi dovevano essere degli archetipi e i due attori principali non napoletani. Volevo allontanarmi da un mondo che nell'immaginario abbiamo molto frequentato negli ultimi anni».

Il resto lo ha fatto la Sanità.
«Mi affascinava l'idea di girare tutto il film in un quartiere particolare di Napoli, una enclave che gli stessi napoletani conoscono poco e che per tanto tempo è stata terra di nessuno, una specie di Far West della camorra. Ho immaginato la Sanità come un labirinto dove è facile perdersi, come una scacchiera sulla quale far muovere i personaggi. A ciascuno il proprio percorso e intorno la gente del rione, come un coro da tragedia greca fatto però di persone autentiche, prese una per una dalla strada, come accade nel cinema del reale. Ci siamo immersi nel quartiere. Anche l'idea di modellare il personaggio di don Rega su Francesco Di Leva, che a San Giovanni a Teduccio con il teatro Nest fa qualcosa di analogo al lavoro di padre Loffredo alla Sanità, va proprio nella direzione dell'autenticità».

Come ha spiegato tutto questo a Favino?
«Da attore meraviglioso qual è, si è calato completamente tra la gente, ha messo il suo incredibile talento al servizio di una visione, abbiamo lavorato sull'idea di abbandonarsi a un ambiente, a un sentimento, a un forza misteriosa. Tutto dipende dallo sguardo che si decide di avere sulle cose. Io ero attratto dalla possibilità di girare un film non a Napoli, ma in un quartiere della città lontano dal mare e dalle immagini da cartolina. Io stesso conoscevo molto poco la Sanità, da ragazzo andavo a ballare al Kgb e una volta ero stato nelle catacombe di San Gaudioso con Nino Longobardi per girare un documentario su Lucio Amelio, niente di più. Ma mi ero sempre portato dentro la memoria dei luoghi, il fascino di una periferia antichissima nel cuore della città. Per certi versi in Nostalgia risuonano gli echi del mio primo film, L'amore molesto, con la passeggiata del protagonista a via Foria e il sax di Steve Lacy sullo sfondo. È come se dicessi allo spettatore: Vedi, ti riporto là dove tutto è cominciato».

Ma non è la prima volta che lavora sulla scrittura di Ermanno Rea.
«Sì, quando con Fabrizia Ramondino scrivemmo la sceneggiatura della Salita per il film collettivo I vesuviani, inserimmo la scena del valzer del sindaco con Anna Bonaiuto e il suo personaggio era ispirato a Francesca Spada, che Rea aveva magistralmente raccontato in Mistero napoletano. Lui mi voleva bene e a volte, facendo i sopralluoghi per Nostalgia, ho avvertito la sua presenza, collegata per strani percorsi del caso al ricordo di mio padre. Perché in una città come Napoli ci si tiene la mano con chi non c'è più, capita di sentirsi parte di qualcosa che ti precede e di pensare che magari qualcosa di te seguirà».

C'è un filo rosso nel labirinto di «Nostalgia»?
«L'ho girato come un film neorealista, immergendomi nelle strade, dando ascolto alle tante suggestioni emotive. Felice Lasco non è un eroe, ha dentro di sé qualcosa di inesplorato. Mi sono affidato a Ermanno Rea: lui voleva che le cose andassero in un certo modo e io l'ho seguito ad occhi chiusi».

Come vi ha accolto il quartiere?
«Benissimo, ci hanno aperto le case e il cuore. La chiesa di padre Loffredo è diventata il nostro quartier generale e i ragazzi della Sanità sono stati magnifici. Napoli è così, e non per luogo comune. I napoletani possono e sanno abbandonarsi. È questa la dolcezza di fare cinema a Napoli». 

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