Le lacrime di Alain Delon a Cannes: «La mia Palma d'oro a Romy e a Mireille»

Le lacrime di Alain Delon a Cannes: «La mia Palma d'oro a Romy e a Mireille»
di ​Titta Fiore
Lunedì 20 Maggio 2019, 07:00 - Ultimo agg. 13:36
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CANNES - Davanti all'ovazione del pubbico, dieci minuti di applausi ritmati sul suo nome, Alain Delon non ha retto e le lacrime hanno cominciato a rigargli il volto. La Palma d'oro d'onore, un omaggio concesso solo a pochi grandi, gli è parsa il coronamento definitivo di un leggendario percorso artistico. Il punto d'arrivo dei suoi giorni di attore e di uomo. «Ho pensato a questo premio come alla fine della mia carriera, alla fine della vita. Sapete, le stelle non nascono mai da sole, le crea il pubblico e per questo vi ringrazio dal profondo del cuore e vi dico au revoir». Sopravvivere al proprio mito, al ricordo di una bellezza inarrivabile, all'onnipotenza del successo: perfino Alain Delon, icona leggendaria di un cinema più grande della vita, non esita a confessare che in certi momenti «può essere davvero duro». Ma ieri Cannes gli ha dedicato una giornata indimenticabile, al mattino con un'affollatissima masterclass, la sera con il galà nel Palais, il premio ricevuto dalle mani della figlia Anouchka e la proiezione speciale del film «Mr.Klein», dove fu diretto da Losey.  Sopraffatto dall'emozione, il divo che a 83 anni conserva le tracce dell'antico fascino, si è lasciato prendere dall'emozione più volte. Il suo pensiero è andato «a Romy e a Mireille», i grandi amori mai dimenticati. Romy Schneider e Mireille Darc, le donne più importanti della sua tumultuosa esistenza. Due punti fermi, ma non i soli: «Devo tutto alle donne, amore, carriera, scelte, tutto».
 

E su questo punto è tornato spesso, nel corso della lezione di cinema, dialogando con un giornalista di Le Monde. «Ho cominciato per caso a fare l'attore, non avevo la vocazione come altri colleghi di quegli anni come Lino Ventura o Jean-Paul Belmondo. Ero appena tornato dall'Indocina dopo tre anno passati nell'Armée e non avevo nessuna dote particolare. Frequentavo una ragazza, Brigitte Auber, ci volevamo bene e con lei venni per la prima volta a Cannes. Non ero nessuno e non conoscevo nessuno, quando mi chiesero se volessi fare l'attore risposi che non ne ero capace. Ma al primo film, “Godot”, il regista Yves Allegret mi prese da parte e mi disse: non recitare mai, guarda come guardi, muoviti come ti muovi, vivi. È una lezione che non ho mai dimenticato». Da lì il cinema diventò la sua seconda casa: «Mi sono sentito subito nel mio elemento, la macchina da presa la guardo negli occhi, come una donna». Allegret, René Clement, Luchino Visconti... «Io ero il primo violino, loro i direttori d'orchestra». Visconti lo vide in «Delitto in pieno sole» e lo volle per «Rocco e i suoi fratelli»: «Senza di lui il film non si fa». Poi venne il sontuoso «Gattopardo» e fece di un bravo attore un'icona planetaria. Il produttore Selznick lo chiamò a Hollywood assicurandogli una fama stellare, ma durò poco: «Avevo troppa nostalgia di Parigi». Per «La piscina» avrebbero voluto affiancargli Angie Dickinson o Monica Vitti. Rispose: «O Romy Schneider o niente», regalandole una nuova carriera e un altro po' di vita.

Sullo schermo l'immagine del giovane Delon è di un fascino irresistibile. «E ora come fate a guardarmi come sono adesso?» chiede quando si riaccendono le luci dopo uno spezzone di «Delitto in pieno sole». Oggi l'attore più bello che il cinema abbia mai avuto passa giornate solitarie nella sua tenuta in campagna in compagnia del cane amatissimo. Dice: «Questa Palma d'oro non spetta a me, ma ai registi che mi hanno diretto. Purtroppo non ci sono più e io sono qui per accettarla al posto loro». Nei giorni scorsi le femministe americane lo hanno attaccato per le sue posizioni di destra e poco politicamente corrette.  A tutte le polemiche ha risposto indirettamente la figlia: «Mio padre è un uomo antico con dei valori» ha detto ieri sera, «un uomo di un'altra generazione. E io sono fiera di lui».
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