Ida Di Benedetto, Gli altri: «Così ho trasferito nel Salento la Napoli di Prisco»

«Non ho avuto l'appoggio necessario in Campania, oltre ad avere io stessa un rapporto personalmente difficile con la mia città»

Ida Di Benedetto
Ida Di Benedetto
di Alessandra Farro
Domenica 26 Marzo 2023, 09:00 - Ultimo agg. 27 Marzo, 07:28
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Negli anni '50, in un paesino del Salento, esistono due Amelia Jandoli, ma soltanto una è vera: «Gli altri», tratto dal romanzo omonimo di Michele Prisco e diretto da Daniele Salvo, è un thriller sentimentale interpretato e prodotto da Ida Di Benedetto (napoletana, classe 1945, vincitrice di un David di Donatello e due Nastri d'Argento) con Oberon Productions, nel cast anche Peppe Servillo, Gianfranco Gallo, Gioia Spaziani e Lorenzo Parrotto.

Il film sarà presentato in anteprima il 29 marzo a Bari per il «Bif&st», prima di approdare nelle sale agli inizi di maggio. Di Benedetto, lei interpreta la protagonista, ma chi è Amelia?
«Una maestrina di ricamo che insegna all'educandato delle suore nel paesino dove è nata e cresciuta.

Una signora di mezza età: orfana è stata allevata dalle suore in convento, nella solitudine della preghiera, con una sola cugina che non vede mai come parente. Cresce e rimane legata alle suore che l'hanno allevata, ancorata a una vita monotona e solitaria, non cambiando nemmeno i fornitori di stoffe e materiali. È una donna ligia al dovere, spenta, finché la sua vita non viene scossa da un evento inaspettato».

Che cosa le succede?
«Una sera, sta andando nel corridoio del palazzo a scaldare dell'acqua, quando di fronte alla porta della sua stanza un ragazzo bello e giovane le si avvicina, chiedendole chi fosse Amelia Jandoli. Lei si presenta e quello rimane interdetto, aspettandosi una donna giovane. Il ragazzo ha un fratello gemello, Felice (Parrotto), che sta morendo e cerca disperatamente Amelia, i due hanno una storia. Ma alla porta della vera Amelia non bussa mai nessuno oltre al sacrestano (Gallo), figuriamoci avere una relazione con un uomo! Da qui comincia il mistero, Amelia vuole sapere di più sulla donna che le ha rubato l'identità e della ragione che l'ha spinta a preferire il nome di un'altra al suo. Così comincia a far entrare gli altri, come da titolo, nella sua vita».

Ma chi è Marisa, la donna che si spaccia per Amelia?
«Non posso dire molto, svelerei troppo della trama. Marisa è una vicina di casa di Amelia, che ha approfittato della vita monotona della dirimpettaia per servirsi del suo nome a piacimento. Marisa sa che Amelia vive da sola e che la sua vita ruota intorno alla sua professione di maestrina. È anche la donna che lascia senza parole Amelia, raccontandole dell'amore straordinario tra lei e Felice. Amelia sente l'invidia crescere e si accorge che nella sua vita non ha mai avuto nessuno che l'amasse, l'accarezzasse, la desiderasse».

Nel libro la storia è ambientata a Napoli, come mai ha scelto di portare il film in Puglia?
«Il film è pugliese, non ho avuto l'appoggio necessario in Campania, oltre ad avere io stessa un rapporto personalmente difficile con la mia città. Sono tornata a vivere a Napoli nel 2019, poco prima della pandemia, non ci tornavo dall'adolescenza. In tutti questi anni vissuti a Roma, mi mancava il mare e mi sono decisa a tornare, ma non credevo che avrei trovato così Napoli: una città abbandonata, la sua bellezza grida vendetta, cerca disperatamente aiuto. Pasolini diceva: “Se il popolo napoletano fosse colto farebbe paura al mondo”, io sono d'accordo con lui. C'è ancora tanta miseria e criminalità, ma in modo diverso da prima. I bassi un tempo erano luoghi angusti e cupi, oggi sul pianerottolo sfoggiano marmi rosa. Napoli è bella e mi trattiene a sé, ma è difficile viverci».

Il suo ultimo film in sala risale al 2015 («Leone nel basilico» di Leone Pompucci), che cosa si aspetta da questo ritorno al cinema?
«Non appartengo a questo mondo tecnologico di oggi, io appartengo al passato. Per me il cinema è nato per stare in una sala buia, piena di gente, davanti a uno schermo enorme. Ormai i film sono in programmazione per qualche giorno, poi scompaiono, per finire dopo qualche mese su una piattaforma. Non mi piace, mi sembra sia un modo di svilire il lavoro che c'è alle spalle. Meno male che almeno il teatro non si può cambiare». 

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