Salvatore Esposito, l'eroe Savastano: «Le polemiche su Gomorra? Ma ha portato anche lavoro»

Salvatore Esposito, l'eroe Savastano: «Le polemiche su Gomorra? Ma ha portato anche lavoro»
di Titta Fiore
Lunedì 11 Marzo 2019, 11:00
4 Minuti di Lettura
MONTECARLO - Genny Savastano sta tornando: dal 29 marzo su Sky Atlantic comincia la quarta serie di «Gomorra» e il personaggio interpretato da Salvatore Esposito promette di cambiare ancora una volta pelle: non a caso nel primo trailer lo si vede all'opera sullo sfondo della city di Londra. Che succede, Salvo? «Dico solo che niente è come sembra, sul resto non posso aprire bocca». Intanto, il Festival della commedia di Montecarlo, ideato e diretto da Ezio Greggio (a proposito, ha vinto l'ungherese «Bad Poems», su Canale 5 nei prossimi giorni la serata di gala), lo ha premiato con il Film Festival Award assieme all'attore feticcio di Tarantino Michael Madsen.

Il presidente della giuria Emir Kusturica dice che fare commedie intelligenti è difficile. Lei che alterna ruoli drammatici e brillanti è d'accordo?
«Mi piace frequentare tutti i generi, non mi precludo nulla. Quanto alla comicità, adoro Totò e Troisi, e penso che dopo Troisi ci sia stato un grande vuoto. La figura dell'attore è stata come declassata. In Italia va così, il nostro mestiere non viene riconosciuto: non ci sono garanzie, non si fa formazione per i giovani, mancano le strutture. Mi chiedo: perché non si aprono valide scuole per le arti, invece di fare tante polemiche inutili su una fiction?».
 
Dopo «Gomorra», i riflettori si sono accesi sul film di Giovannesi «La paranza dei bambini» e nelle pagine di cronaca il tema è tornato di bruciante attualità. Lo ha visto?
«Non ancora, ma sono stato strafelice che abbia vinto un premio importante al festival di Berlino. Mi ha colpito il silenzio delle istituzioni culturali italiane sulla notizia. Non me capisco la ragione, ma non mi meraviglio. La paranza è un film scomodo, così come è scomoda Gomorra: mostrano tutt'e due i lati oscuri della società, per chi guarda sono un pugno nello stomaco e inchiodano la gente alle proprie responsabilità. Allora, invece di prendersela con chi racconta il male, che pure esiste e non si può nascondere, sarebbe il caso di illuminare certe situazioni per combatterle meglio. Prima di parlare di modelli negativi, diciamo tutto il positivo che il progetto Gomorra ha portato con sé in cinque anni: dal lavoro per migliaia di persone all'attenzione dei registi internazionali al nostro territorio».

Ora al cinema la vedremo nei panni di un giornalista d'inchiesta nel film «L'eroe».
«Grazie a questa storia ho scoperto un mondo colpito pesantemente dal precariato, ho capito il peso delle parole e il pericolo delle fake news. Oggi certi personaggetti che vorrebbero essere grandi uomini combattono battaglie personali a colpi di slogan e nessuno pensa più agli interessi della gente. La vicenda noir che raccontiamo nel film di Anania è anche una metafora sulla doppiezza dei tempi moderni. Dove niente è come sembra, appunto».

Chi è un eroe, per lei?
«Roberto Saviano e quanti, come lui, hanno sacrificato la libertà per difendere un'idea. Sono eroi i giovani di periferia che lavorano per pochi euro al giorno, come ho fatto anch'io da ragazzo, e non si lasciano tentare dai soldi facili della criminalità».

Il selfie sulla spiaggia di Malibu con Ellen Pompeo, la regina di «Grey's Anatomy», prelude a qualche progetto americano?
«Ellen è una grande fan di Gomorra e siamo diventati amici, tutto qua. Nelle classifiche internazionali la serie è tra i cinque progetti meglio scritti degli ultimi dieci anni. Le polemiche italiane nel mondo non hanno peso. A volte mi verrebbe voglia di lasciare un Paese sempre più provinciale e autolesionista, incapace di gioire perfino della vittoria all'Oscar di un gigante come Toni Servillo. Mi verrebbe voglia di andarmene, ma non di lasciare Napoli, che continuo ad amare profondamente».

Ezio Greggio le ha consegnato un Tapiro d'oro: cosa ha fatto di male?
«Ezio ha esaudito un mio desiderio. Avevo detto di sognare tre riconoscimenti: il Tapiro, il Telegatto e l'Oscar. Ora, almeno il primo ce l'ho».

Partito Hamsik, anche Genny Savastano ha abolito la cresta di capelli.
«La mia, per la verità, era sparita già nella terza serie. All'inizio tanti barbieri mi scrivevano che i clienti andavano a farsi tagliare i capelli portando a modello la foto di Genny».

Gli effetti di «Gomorra» sulla gente, per dirla con The Jackal.
«Ma c'è dell'altro. La storia di un piccolo imprenditore di capi in pelle. Aveva quattro operai e pochissime commesse. Poi hanno cominciato a chiedergli le giacche di Genny Savastano e di Ciro l'Immortale: ora dà lavoro a sessanta persone. Ma questo nessuno lo dice».

Quando tornerà sul set?
«Ad aprile per un film dei fratelli De Serio sul capolarato, la nuova schiavitù. Poi lavoro a un progetto internazionale. Naturalmente ancora top secret».
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