Mostra di Venezia, Paolo Sorrentino vince il Gran Premio della giuria ma meritava di più

Mostra di Venezia, Paolo Sorrentino vince il Gran Premio della giuria ma meritava di più
di Titta Fiore
Domenica 12 Settembre 2021, 09:00 - Ultimo agg. 19:01
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Paolo Sorrentino vince a Venezia il Gran Premio della Giuria, ma il toccante, superbo amarcord che ha realizzato nel suo film più intimo e personale, «È stata la mano di Dio», avrebbe meritato di più. Il Leone d'oro va alla regista francese Audrey Diwan per «L'événement», un potente viaggio nel dolore e nella libertà femminile di decidere del proprio corpo, e quindi del proprio destino, che ha entusiasmato la giuria (il riconoscimento è stato assegnato all'unanimità). La miglior regia è di Jane Campion per il western «The Power of the Dog», la sceneggiatura di Maggie Gyllenhaal per «The Lost Daughter», tratto dal romanzo di Elena Ferrante «La figlia oscura». Tra le attrici, trionfa Penelope Cruz che aveva in concorso due film: vince con «Madres paralelas» di Pedro Almodovar, ma la sua regista geniale e pazzoide di «Competencia oficial» colpisce al cuore. Quanto agli attori, la Coppa Volpi se l'aggiudica il protagonista del fluviale film filippino «On the Job: The missing 8», John Arcilla, che forse non ritenendo possibile la vittoria è rimasto a Manila. Resta il rimpianto di non vedere premiate le grandi performances di Toni Servillo, tre volte protagonista, per Sorrentino, Mario Martone in «Qui rido io» e, fuori concorso, in «Ariaferma» di Leonardo Di Costanzo. Francamente, era difficile fare di più. 

Lo dice con un sorriso, Paolo Sorrentino, nei suoi ringraziamenti: «Qualcuno un po' antipatico ogni tanto mi chiede: ma perché i film li fai sempre con Toni Servillo? Guardate dove sono arrivato, lavorando con Servillo!». Con «È stata la mano di Dio» il regista premio Oscar ha messo a nudo la sua anima, ha raccontato il dolore per la morte dei genitori, una ferita mai rimarginata, ma anche la leggerezza della gioventù e la passione per il calcio e per il cinema, ha mescolato il riso e il pianto, perché di questo è fatta la vita. E ora, sul palco del Palazzo del cinema, non nasconde la commozione che gli incrina la voce. Il suo grazie è per il papà e la mamma scomparsi, per i fratelli, la moglie Daniela e i figli Anna e Carlo; «per Maradona, per le persone che mi hanno accettato da ragazzo, Antonio Capuano e Umberto Contarello, per il mio primo produttore e caro amico Nicola Giuliano», per gli attori e per Netflix che ha coprodotto il film e lo porterà in giro per il mondo. Alla giuria guidata da Bong Joon-ho dedica due scene che sullo schermo non ci sono: «Nella prima un ometto alto un metro e sessanta in mezzo a un campo di calcio vi ringrazia e, che voi ci crediate o no, il suo ringraziamento è il premio più bello che possiate ottenere. La seconda può sembrare triste, ma non lo è: il giorno dei funerali dei miei genitori il preside della mia scuola mandò solo una rappresentanza di quattro compagni e non tutta la classe, e io ci rimasi malissimo. Ma non ha più importanza, perché stasera, invece, è venuta tutta la classe, e siete voi». All'emozione del regista si aggiunge quella di Filippo Scotti, il giovane attore napoletano che lo interpreta nel film, vincitore del premio Marcello Mastrioanni per gli artisti emergenti, «felicissimo». 

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Il cinema italiano, che il direttore Barbera ha definito alla vigilia della Mostra «in stato di grazia», porta a casa anche il Premio speciale della giuria assegnato a un progetto radicale e poetico come «Il buco» di Michelangelo Frammartino, girato in una grotta del Pollino profonda settecento metri.

Gli applausi caldissimi che hanno accolto il verdetto testimoniano l'alta qualità della competizione. Dopo «Nomadland» di Chloé Zhao, quest'anno in giuria, il Leone d'oro va per il secondo anno consecutivo a una donna. Audrey Diwan ha raccontato con immagini sorprendenti il dramma dell'aborto nella Francia degli anni Sessanta del secolo scorso: «Allora su questi temi c'era un silenzio assordante» ha detto, «ma oggi le cose non vanno meglio, nel mondo, per i diritti delle donne. Ho fatto questo film perché ero molto arrabbiata, l'ho fatto con il cuore, con la pancia, con la testa. Volevo mettermi nella pelle della mia protagonista, la magnifica Anamaria Vartolomei, e stasera tutto questo è stato possibile».

Nella serata condotta dalla madrina Serena Rossi si afferma anche un'altra storia di donne, «Imaculat» di Monica Stan e George Chiper Lillemark, premio Opera prima Luigi De Laurentiis (centomila dollari divisi tra autore e produttore). E con Sorrentino - e Campion - vince Netflix, come era già accaduto con «Roma» di Cuaròn, accompagnato fino all'Oscar. Il viaggio è appena cominciato. 

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