Nanni Moretti: «Il mio cinema sempre controcorrente»

Esce in sala in sole 500 copie "Il sol dell'avvenire"

Una scena del film
Una scena del film
di Titta Fiore
Mercoledì 19 Aprile 2023, 08:53
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La coperta di quadrati di lana all'uncinetto per guadare i film sul divano di casa. Le canzoni cantate in auto (questa volta tocca a «Sono solo parole» di Noemi). L'odio per i sabot, più detestabili perfino delle pantofole indossate da Aretha Franklin nei «Blues Brothers». L'avversione per l'uso della violenza gratuita nei film, come aveva già mostrato in «Caro diario» a proposito di «Henry pioggia di sangue» e ora conferma bloccando il set di un giovane e gasatissimo regista in una delle scene migliori del film. E il monopattino al posto dell'iconica Vespa, perché è vero che la gente cambia e anche lui, Nanni, negli anni è cambiato, «ma solo un poco».

Per il resto, «Il sol dell'avvenire», il nuovo film di Moretti da domani nelle sale in 500 copie distribuito da 01, è un distillato di morettismo in purezza che riporta il regista ai temi che gli sono cari e su territori più familiari di quelli frequentati con «Tre piani», non a caso il suo unico soggetto non originale.

Una storia che diverte e commuove e sa come toccare il cuore del pubblico più affezionato. «Per capire come sta Nanni bisogna vedere i suoi film» sorride Silvio Orlando, per la quinta volta al fianco del regista a diciassette anni dal «Caimano». Un riavvicinamento? «Non abbiamo mai litigato, quando Nanni mi chiama sono felice, ma quando non mi chiama mi sento molto più sereno. Questo lavoro, comunque, per me è la chiusura di un cerchio e mi ha profondamente scosso».

«Il sol dell'avvenire» è un film su un film e sul progetto di un altro film. Una specie di scoppiettante «mise en abyme» vista con gli occhi di un regista «faticoso, puntiglioso, moralista», Giovanni (lo stesso Nanni), che torna dietro la macchina da presa per raccontare l'Italia del 1956 all'epoca dell'invasione sovietica dell'Ungheria vissuta da un giornalista dell'Unità segretario della sezione Gramsci al Quarticciolo (Orlando), trascinato allo strappo con l'Urss dalla battagliera compagna Vera (Barbara Bobulova) e da una compagnia di circensi ungheresi. Ma è anche la storia della crisi familiare di Giovanni, lasciato dopo quarant'anni dalla moglie produttrice Margherita Buy e con la figlia musicista innamorata di un ambasciatore polacco ottuagenario (Jerzy Sthur). E del sogno di fare finalmente film sugli anni Settanta, una storia d'amore piena di canzoni italiane, con le voci di De Andrè e di Battiato nella colonna sonora. Tra i momenti clou del film, il surreale incontro di Giovanni, lasciato in braghe di tela dal produttore cialtrone Mathieu Amalric, con i manager di Netflix che potrebbero subentrargli e gli parlano dei famosi «190 paesi» in cui è presente la piattaforma, di «turning point», di «slow burning» e della mancanza di situazioni «what a fuck».

Sul tema Nanni non ha cambiato idea: «Le piattaforme vanno bene per le serie» dice, «i film si devono fare per le sale. Io sono sempre andato contro la corrente. Negli anni Ottanta ho reagito alla moda dei film fintamente internazionali che per piacere a tutti poi non piacevano a nessuno producendo storie italiane radicate al territorio. Qualche anno dopo, mentre i cinema chiudevano e trionfava il Vhs, ho aperto il Nuovo Sacher, poi quando nessuno si filava gli esordienti ho creato la rassegna Bimbi Belli dedicata alle opere prime e anche ora che tutti parlano della crisi delle sale ho fatto finta di niente e ho continuato a fare il cinema per gli spettatori della sala. Cerco di non preoccuparmi di quello che ci succede intorno».

Eppure, guardando le immagini d'epoca dell'invasione dell'Ungheria è difficile non pensare a ciò che accade oggi in Ucraina. «Con le sceneggiatrici Valia Santella, Federica Pontremoli e Francesca Marciano pensavo a questa storia da molto tempo, la prima sceneggiatura è datata giugno 2021, quindi antecedente allo scoppio della guerra. Abbiamo cambiato poco, giusto una battuta di Bobulova sull'accoglienza, mentre una frase che avrei dovuto dire girando in monopattino per piazza Mazzini, "già vedo i carri armati avanzare", l'ho tagliata, perché mi faceva un po' impressione». 
Con «Il sol dell'avvenire» Moretti sarà per l'ottava volta a Cannes, dove nel 2001 ha vinto la Palma d'oro con «La stanza del figlio». Con quale spirito torna sulla Croisette? «Con il solito spirito, è bello sentire una platea ridere e commuoversi, specialmente se è enorme come quella del Palais. Anche in Francia il film è molto atteso e uscirà alla fine di giugno con il titolo un po' sarcastico "Verso un avvenire radioso", un vecchio slogan della sinistra d'Oltralpe».

Al festival sarà in gara con Bellocchio e Alice Rohrwacher: «E mi dispiace che non ci sia anche Garrone. Il cinema italiano è vivo, ci sono tanti registi interessanti ma i film spesso sono mandati allo sbaraglio, meriterebbero più cura, una maggiore attenzione». Da esercente ha una ricetta per superare la crisi? «So che dovrei dire che la sala deve diventare un'esperienza, come si sostiene oggi, ma la cosa importante resta programmare buoni film».
«Il sol dell'avvenire» si chiude con una grande parata ai Fori Imperiali, con Orlando e Bobulova in groppa all'elefante e tutti i personaggi del film in marcia, affiancati dai personaggi degli altri film di Nanni, compresi Lina Sastri, Alba Rohrwacher e Renato Carpentieri, come in una specie di quarto stato del cinema morettiano. Tra loro sfila sorridente anche il regista: «Il mio saluto verso la macchina da presa è stato un gesto spontaneo, magari ho chiuso la prima fase della mia carriera, ma solo per aprirne una seconda di altri cinquant'anni e poi forse anche una terza».

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