Volevo un figlio maschio, Neri Parenti torna al cinema: «Adesso punto sul fantasy»

«Mi piace ancora pensare le storie, giocare con la fantasia e scegliere gli attori»

Enrico Brignano e Maurizio Casagrande sul set
Enrico Brignano e Maurizio Casagrande sul set
di Titta Fiore
Martedì 3 Ottobre 2023, 07:00
4 Minuti di Lettura

Una commedia family, buoni sentimenti, atmosfere fantasy: Neri Parenti, il re dei cinepanettoni, cambia pelle. Niente più battutacce e doppi sensi, basta con le amanti seminude, le parolacce, le corna e i tradimenti. Il maestro del politicamente scorretto si adegua ai tempi. Grazie al franchise natalizio, e non solo, ha conquistato una trentina di Biglietti d'oro. Ora dice: «Oggi un film come Fantozzi non si potrebbe fare. Perché è pieno di gag che nel frattempo sono diventate tabù: la moglie è brutta, la figlia assomiglia a una scimmia, i padroni sono sempre cattivissimi. Giocando su questi meccanismi da commedia dell'arte ho fatto cinquantaquattro film, oggi probabilmente non me ne farebbero fare neppure uno».

E dunque, ecco la svolta: «Volevo un figlio maschio», nelle sale dal 5 ottobre con Medusa, dove Enrico Brignano è Alberto, il papà in carriera di tre ragazze colte e salutiste e il marito affettuoso di Emma, Giulia Bevilacqua, in attesa di un quarto bebè.

Sarà ancora una femmina? Alberto, che da sempre sogna di condividere con una nidiata di ragazzini grigliate al sangue e partite di pallone, chiede alle stelle di avere almeno un maschio e il suo desiderio, complice un bizzarro scienziato, viene esaudito per eccesso. Per incanto le figlie femmine diventano maschi, ma la qualità della sua vita non migliorerà. Anzi...

Dal cinepanettone scostumato alla commedia per famiglie è un bel salto. Qui, addirittura, il povero Brignano deve pagare una multa ogni volta che gli scappa una parolaccia: il ribaltamento della prospettiva è totale.
«Beh, per sopravvivere bisogna cambiare e, visto che il cinepanettone non si porta più, siamo andati su una storia più adatta ai tempi che viviamo».

Si tornerà indietro?
«Non credo, oggi nel cinema comandano le piattaforme che devono tenere conto di un pubblico globale. Un film con una donna nuda in certi paesi non sarà mai accettato e in Norvegia non capirebbero le nostre storie sugli stereotipi regionali con il milanese lavoratore, il romano cialtrone, il napoletano truffaldino e il siciliano geloso. Il fantasy, invece, non ha tutte queste limitazioni».

Quindi largo al fantasy.
«Sì, e siccome ho tre figli maschi, ho pensato di rovesciare il cliché: il protagonista del film avrebbe avuto una casa piena di donne».

Con Brignano si apre un nuovo ciclo? Sarà lui l'erede di Boldi e De Sica?
«Enrico è uno dei pochi comici quaranta-cinquantenni del nostro panorama ed è tra i più bravi con Ficarra e Picone e Alessandro Siani. Sul set con Giulia Bevilacqua si è trovato benissimo».

A giudicare dall'ultima scena, il sequel è già pronto.
«Vero, il soggetto lo abbiamo scritto. Ma dipenderà dal risultato in sala e sulle piattaforme, aspettiamo».

Come si supera la crisi delle sale?
«La cosa grave è che non si vanno a vedere i film italiani. A parte “Io capitano” di Garrone, quasi nessuno sta raggiungendo il mezzo milione di incasso. E sono film che costano».

Perché il pubblico si è disamorato?
«Bella domanda, se lo sapessi avrei la soluzione. Forse perché per troppo tempo si sono fatti film sempre più piccoli, con pochi fondi e sempre con gli stessi attori. Sono soprattutto i giovani a disertare le sale, a cominciare dai miei figli. Come se ne esce? Non lo so, intanto facciamo bei film, sperando che la gente abbia voglia di vederli».

Quanto è cambiato il cinema dai suoi esordi?
«Non molto, sarà che adoro il mio mestiere, mi piace pensare le storie, giocare con la fantasia, scegliere gli attori, tutto. Per me resta il mestiere più bello del mondo».

Ha nostalgia dei cinepanettoni?
«Rimpiango i guadagni, e non è cosa da poco. È un po' anche i viaggi che facevamo per girarli. Erano storie ambientate in location bellissime, lontane, tra preparazione e riprese restavo fuori sei o sette mesi. Sono state belle esperienze, si cambiava vita, abitudini, amici. Era un'altra epoca».

Sul set di «Tifosi» ha diretto anche Maradona.
«Era nel periodo bruttissimo della cocaina, non fu facile. Giravamo in un appartamento di Roma con due troupe divise in turni di dodici ore, per essere sempre pronti all'arrivo di Diego. Lui era imprevedibile, fino all'ultimo non sapevamo se si sarebbe presentato. Una mattina venne, stette un'ora e poi tornò la notte, scusandosi. Era come lavorare con un malato. Ma era una brava persona». 

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