Caparezza torna con Exuvia: «Mikimix tra Dante e Federico Fellini»

Caparezza torna con Exuvia: «Mikimix tra Dante e Federico Fellini»
di Federico Vacalebre
Venerdì 7 Maggio 2021, 18:00
5 Minuti di Lettura

Misurarsi con un album di Caparezza è esperienza a parte. Tornato al disco a quattro anni da «Prisoner 709», Michele Salvemini da Molfetta stavolta ci ha spinto a riprendere in mano il vocabolario. Capito che il titolo - «Exuvia» - indica l'esoscheletro che un insetto si lascia alle spalle dopo la muta, abbiamo dovuto toglierci di testa l'idea di un riferimento a Kafka: tra le mille citazioni disseminate Le metamorfosi non c'entrano (ma «Zeit!» si rifà alla sua Lettera al padre). Poi ci è toccato un singolo, «La scelta», in cui nelle strofe si ascolta il Beethoven di «Per Elisa» e nel ritornello i Talk Talk di «Such a shame». Quindi, è arrivato il momento di ascoltare tutto il disco, in uscita oggi: densissimo, altro che musica liquida, questa diventa materica anche in rete, tra suoni più digitali che mai e ammiccamenti più analogici che mai (Dante, Fellini, Hitchcock, McCartney, i Fugazi...). Il suono è meno aggressivo del solito, più pop e cantato del solito.

Video

Caparezza divulgatore come Piero e Alberto Angela? In passato hai spiegato agli italiani che malattia fosse l'acufene e che cosa fosse la prosopagnosia.
«Da burattinaio di parole mi piace studiarle, da rapper sono sempre alla ricerca di nuovi termini, nuove rime.

Prisoner 709 aveva raccontato la gabbia, questo disco non poteva già essere il disco della libertà, troppo facile, troppo scontato, troppo improbabile. Così è l'album della fuga, del percorso. Sappiamo cosa ci siamo lasciati dietro, l'esoscheletro, non cosa diventeremo».

Quel che conta è il percorso, non la meta. Così il disco è l'attraversamento di una selva postdantesca oltre che di una fantasia visionaria illuminata dal Fellini mai visto di «Il viaggio di G. Mastorna» e da quello stravisto di «8½». Un altro concept album, Michele.
«Sì, sul cambiamento, sui riti di passaggio. Non riesco a scrivere in termini di canzoni, di singoli. Quando compongo penso in termini di film, di romanzi, di storie. Ho bisogno di tenere insieme tante cose, forse troppe, ma ho magnifici esempi nel rock. Dante? Ci segna sempre, non solo perché celebriamo il settecentesimo anniversario della sua morte; e Fellini pure: quello incompiuto in cui Mastroianni avrebbe dovuto ritrovarsi nell'adilà, quello compiutissimo in cui un uomo staziona vicino a una porta d'uscita che non aprirà mai».

C'è persino un brano, «La certa», che parla della morte.
«Eccolo, Mastorna. Ma volevo parlare della morte non come della bieca mietitrice, quanto come di una cosa positiva».

Che cosa?
«La morte dà un senso alla vita, ci suggerisce di godercela fino a quando potremo. Se non ci fosse trascineremmo la nostra vita sognando di poterla fare finita».

Da «El sendero» a «Come Pripyat» affronti temi serissimi, ma poi ti autoperdoni in «Campione dei Novanta».
«Anche i rappettini di Mikimix, Castrocaro, il mio Sanremo nel 97... fanno parte della mia storia. Più che perdonarmi faccio pace con me stesso».

Rimpianto per la tua gioventù?
«Può essere, ma il problema, a 47 anni, non è quello: in Il mondo dopo Lewis Carroll Alice e il Cappellaio Matto discutono della perdita della meraviglia, vero problema della maturità, vero rischio dell'invecchiamento, mentale più che fisico».

Sembrerebbe quasi che tu assolva il Mikimix di «E la notte se ne va» e non Caparezza per i suoi successi: «Tipi che mi chiedono del tunnel, dammi una pala che me lo scavo», rappi in «Canthology».
«Fuori dal tunnel fu fraintesa, criticavo l'industria del divertimento ma mi proiettò al centro del divertimentificio, comparsate in discoteca mi sarebbero state pagate più di un vero concerto. Ma quello rimane il mio manifesto, Mikimix la mia exuvia».

Tra i brani spuntano diversi riferimenti al rap odierno.
«Ma solo di sfuggita. I trapper? Faticherei a cenare con uno che parla solo di soldi e macchine».

Che cosa hanno in comune Beethoven e Mark Hollis?
«Niente, a meno di non dire che il primo era un romantico e il secondo un new romantic. O di considerare le scelte estreme di un compositore che continuava a fare musica che non poteva ascoltare perché sordo e di un artista pop che quando doveva sfornare l'album con cui far fruttare il successo incassato tirò fuori Spirit of Eden, il disco più minimalista e sperimentale della sua vita».

Leopardi evocato in «Contronatura», Kafka in «Zeit!»... Sicuro di non avere un futuro da divulgatore?
«Sicuro, ma se qualcuno poi si diverte ad approfondire e scopre una parola, un libro, un disco o un film grazie a me sono contento».

In «Azzera pace» (il contrario di Caparezza) citi «Scarface». In «Come Pripyat» canti: «A trent'anni da Capaci, vedi, sarà strano/ ma il modello è diventato Genny Savastano».
«È una cosa che davvero non posso accettare, come la Lega che prende voti al Sud».

Hai preparato una piattaforma digitale, che presto presenterai ai fan, per raccontare anche visivamente il disco come un viaggio in una selva.
«In una selva oscura e tormentata: la mia testa». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA