Simona Molinari, nuovo spettacolo al via da Avellino e Napoli: «Siamo tutti Maradona e Mercedes Sosa»

«Il format che più conta è quello della canzone, che non passa di moda»

Simona Molinari sul palco con Cosimo Damiano Damato
Simona Molinari sul palco con Cosimo Damiano Damato
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Venerdì 10 Novembre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 11 Novembre, 07:50
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Diversamente primadonna: è Simona Molinari, magnifica quarantenne napoletana che alle colleghe che conquistano desnude i palasport risponde con un disco, ed uno spettacolo in fuga dallo sciocchezzaio canzonettaro che tutto riduce ad un balletto scemo su Tik Tok. «Cercavo stimoli nuovi», confessa lei, che dall'esordio nel 2009 a Sanremo ha cantato il pop, il jazz, l'electrojazz, Carosone, Gilberto Gil, Ella Fitzgerald, Luttazzi e vinto una targa Tenco, l'anno scorso, come miglior interprete per l'album «Petali». Quello stimolo le è arrivato da Cosimo Damiano Damato, poeta, drammaturgo, sceneggiatore e regista, che ha scritto un'operina da teatro canzone dedicato a due supreme icone argentine, Diego Armando Maradona e Mercedes Sosa. «Hasta siempre Mercedes» è il titolo del suo nuovo album, «El Pelusa y la Negra» è il titolo dello spettacolo che debutta stasera al teatro Partenio di Avellino per arrivare domani e dopodomani al Bolivar di Napoli.

«El pelusa» è il meno mitologico dei soprannomi dati al D10s, «quando sono nato avevo i capelli dappertutto. Ero pelosissimo», ricordava lui. Mercedes Sosa, invece, era chiamata «La Negra» per la criniera nera e il volto con i tipici tratti da india. Perché metterli insieme?
«Non li ho messi insieme io, ma la loro terra, la loro storia, e Cosimo Damiano Damato.

Però sono una bella coppia in direzione ostinata e contraria. Il campionissimo con Che Guevara tatuato sul corpo e nel cuore gli scugnizzi di tutto il mondo, e la pasionaria dei diritti civili, lei si diceva cantora popular. Il processo creativo del vederli appaiati è nato per caso, procedevo come quando si mangiano le ciliege».

Una tira l'altra?
«Proprio così. Di partenza c'era un librino, diventato uno spettacolo, che ha ispirato il disco, che riempie lo spettacolo, che risuona delle storie del librino».

Ripartiamo dai magnifici due.
«All'inizio volevo usare le canzoni di Mercedes per accompagnare in scena la vita di Diego, ma poi mi è sembrato più giusto portare sul palcoscenico anche la sua vita, e, con loro due, la storia dell'Argentina. Ora live e disco sono realtà, mi serviva questo percorso prima di pensare a scrivere un nuovo album di inediti».

Intanto la discografia è sempre più liquida, il format dell'album ha perso appeal e importanza...
«Ma il format che più conta è quello della canzone, che non passa di moda perché regala in pochi minuti sogni, emozioni, dolori, felicità, che ognuno può fare suoi, portare in classe, al lavoro, sotto la doccia, in spiaggia, in miniera, in corteo, a letto... Non c'è forma d'arte così democratica. Io, poi, resto affezionata alla completezza di narrazione, di espressione che ti dà un album».

Undici brani nel disco. Innanzitutto c'è il repertorio della donna di San Miguel de Tucumán scomparsa il 4 ottobre 2009.
«C'è “Todo cambia” che fu scritta dal cileno Julio Numhauser nel 1983, in piena dittatura cilena e che la Negra fece sua negli anni dell'esilio europeo, rendendola famosa. C'è il capolavoro di Violeta Parra “Gracias a la vida”, ancora dal Cile, guarda caso a mezzo secolo da quel golpe che cambiò la storia di un continente intero. C'è “Solo le pido a Dios”, preghiera pacifista dell'argentino Leon Gieco, in cui ho coinvolto Alessandro Mannarino. E un altro suo cavallo di battaglia, meno noto da noi è la “Canciòn de las cosas simples”, di un altro argentino che varrebbe la pena di scoprire, Cesar Isella. A proposito: a impreziosire quel pezzo c'è la tromba di Paolo Fresu, mentre in “Mon amour” del franco-spagnolo Nilda Fernandez c'è Tosca».

Dalla terra del Pelusa e della Negra, ma anche del pensiero triste che si balla, arrivano pure i classiconi di Gardel «Volver» e «El dia que me quieras». Sistemata l'Argentina c'è inevitabilmente Napoli.
«Napoli, la mia Napoli ritrovata, dove sono nata e da cui sono venuta via per crescere a L'Aquila. Napoli che è di tutti: del bolognese-partenopeo ad honorem Lucio Dalla, di cui riprendo “Caruso”, come di Rakele e Tony Bungaro che mi hanno regalato l'inedita “Nu fil e voce”».

Una vera chicca: «A sient' chest'a libertà?/ Ca gira int'allaria e poi va?/ E n'incant/ e nisciuno se sent' chiù sul'./ A sient' chest'a libertà?/ Sta pace che musica fa?/ E ogni vita se pò arraccunta' Senza parol'».
«Cantarla a Napoli sarà la prova del nove».

E domani a Napoli sarà difficile non commuoversi all'epilogo della storia, perché sappiamo tutti com'è finita: «Niente e nessuno ti può togliere tutto quello che hai ballato, giocato, sofferto, lottato, pregato, amato, cantato. Qui, dove sono ora, si può piangere, un uomo è libero di commuoversi senza vergogna». Parola di D1os. 

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