Riccardo Muti contro i Maneskin: «Altro che rock, vogliono vendere la casa di Da Ponte»

L'affondo da a Milano, alla Fondazione Prada

Il maestro Riccardo Muti
Il maestro Riccardo Muti
di Donatella Longobardi
Giovedì 9 Novembre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 19:21
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«Tempo fa, visitando l'università dell'Indiana, ammirai le sale della musica con pianoforti, tv, tappeti. Io ho studiato a Napoli, al San Pietro a Majella. Un convento del Seicento. Nella mia aula c'erano una lampadina dal soffitto, un pianoforte a mezza coda e una decina di sedie di paglia. Ma in quelle stanze erano passati Cimarosa, Paisiello, Mercadante e anche Bellini, l'autore della Norma, l'opera che sarà al centro della mia accademia». Le comuni radici nella grande scuola musicale napoletana fanno da sfondo all'intervento di Riccardo Muti che, dal 19 al 29 novembre, sarà a Milano, alla Fondazione Prada, insieme con la sua Orchestra Giovanile Cherubini, per una serie di lezioni a giovani direttori d'orchestra e maestri collaboratori per quella che è una tradizionale iniziativa del musicista, nata nel 2015 per trasmettere alle nuove generazioni quanto imparato dai suoi maestri. E non solo. «Girando il mondo mi sono reso conto di quanto l'opera italiana soffra rispetto ad autori come Wagner o Mozart. Si parlava di tradizione a fronte di tagli, invenzioni, aggiustamenti improponibili, ad esempio, in autori di matrice tedesca. E non potevo sopportarlo», spiega Muti che ha presentato l'iniziativa insieme con Miuccia Prada e il marito Patrizio Bertelli, sponsor dell'operazione che si ripeterà nel 2025 con il «Don Giovanni» di Mozart.

In pratica, Muti analizza dettagliatamente l'opera fino a un concerto.

E quest'anno il pubblico (ammesse le scolaresche lombarde) potrà a conoscere i segreti di «Norma» che non è solo «Casta diva»: «Ho scelto questo titolo belliniano perché voglio porre l'attenzione sul mondo belcantistico. Questa è un'opera estremamente difficile che richiede grande attenzione al fraseggio e al tessuto orchestrale. Bellini è un aristocratico della melodia, affascinò Wagner, serve purezza e nobiltà di esecuzione. Bisogna fare musica insieme, l'orchestra, i cantanti e, nel caso di una messa in scena, il regista».

Il maestro ricorda le esperienze con Strehler e Ronconi, ribadisce l'importanza della «concertazione» e delle lunghe prove prima di arrivare ad una esecuzione: «Antonino Votto, uno dei miei insegnanti, a sua volta allievo di Toscanini, mi diceva che non bisognava mai cedere a compromessi». Da qui una ennesima, dura, presa di posizione contro lo stato della cultura in Italia: «La cultura sta attraversando un periodo ancora più drammatico verso il basso, eppure abbiamo un passato che nessuno al mondo ha. Ma si bruciano i rapporti con la cultura del passato. Penso al destino della casa a Vittorio Veneto di Lorenzo Da Ponte, librettista del trittico di opere italiane di Mozart, uno scrittore e poeta che dovrebbe essere studiato al liceo. E non parliamo del destino della casa di Paisiello a Taranto o di Villa Verdi a Sant'Agata. Mentre i media scrivono dei rapper, dei Maneskin o Maneskot...». Detto fatto, per la vendita della casa di Da Ponte arriva prima la risposta di Vittorio Sgarbi, sottosegretario alla Cultura, pronto a chiedere aiuto a una banca «attenta alla musica», poi del ministro Gennaro Sangiuliano: «Ho dato disposizione agli uffici di seguire la vicenda per accertare se sussistano i presupposti per l'esercizio del diritto di prelazione da parte dello Stato».

L'affondo di Muti, poi, riguarda anche Napoli, il San Pietro a Majella: «La sua biblioteca che custodisce tesori di valore immenso e tutta la scuola napoletana di Sei e Settecento è una biblioteca scolastica. Lo ripeto da anni. È un mondo che sta crollando e abbiamo il dovere di intervenire per aiutare lo sviluppo delle nuove generazioni». Il maestro parla anche dei drammi dei nostri giorni, dei suoi «Viaggi dell'amicizia» insieme con il «Ravenna festival», concerti con i quali esalta il ruolo pacificatore della musica facendo esibire insieme musicisti italiani e delle nazioni visitate: dalla Siria alla Russia e all'Ucraina, dall'Iran alla Tunisia, dagli Stati Uniti all'Armenia: «In luglio siamo stati in Giordania, poi a Pompei. Abbiamo portato la musica in un campo profughi siriani, ora c'è la guerra a un passo da quelle terre», osserva. 

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E ricorda il primo concerto dell'Amicizia a Sarajevo, nel 97, nella città dove qualche giorno è stato nominato cittadino onorario. E sottolinea come quel messaggio nato dall'unione di musicisti di religioni e formazioni diverse non possa essere cancellato: «Abbiamo l'obbligo di sostenere la musica e la cultura. Nei nostri conservatori fabbrichiamo disoccupati perché la Rai abolisce le orchestre, i teatri chiudono, a scuola non si insegna vera musica». Non nasconde l'amarezza Muti che, alla fine, confessa di sentirsi «un rompiscatole» e se la prende anche con i Tre Tenori, non con Pavarotti, Domingo e Carreras in quanto tali, precisa, ma «come simbolo di un evento che non ha portato nuovo pubblico all'opera. La gente si sofferma sul personaggio, sull'acuto. L'opera non è una gara tra voci. È sacrificio. E un teatro non dimostra la sua importanza scritturando nomi di grido, ma formando grandi orchestre, cori, maestranze». 

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