Umberto Tozzi si ritira: «Ultimo tour nel mondo poi scendo dal palco»

«Mi regalo quello che ho sempre sognato: un giro di concerti con sezioni di fiati, di violini, con coristi»

Umberto Tozzi
Umberto Tozzi
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Sabato 16 Marzo 2024, 08:00 - Ultimo agg. 17 Marzo, 08:45
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Il primo titolo, «L'ultima notte rosa», potrebbe ingannare, ma il secondo «The final tour» non lascia dubbi. Umberto Tozzi ha convocato la stampa italiana in una saletta dell'Olympia per dire addio al palcoscenico. Perché a Parigi, perché proprio in questo prestigioso teatro? «Perché questo fu il mio trampolino di lancio per il successo internazionale, perché dopo oltre 50 anni di carriera è uno dei posti dove torno più volentieri».

Ricapitoliamo. Umberto Tozzi, 72 anni, torinese di origini pugliesi, più di 80 milioni di dischi venduti, oltre 2000 concerti nel mondo, successi come «Ti amo», «Tu», «Gloria»... Vincitore del Festival di Sanremo («Si può dare di più») e del Festivalbar, decide di smetterla. Perché?
«Alla mia età ci si fanno delle domande, è da molto tempo che mi chiedevo quando avrei smesso, anche senza badare alla mia cartella clinica, ma ho passato due anni difficili, problemi di salute mi hanno fatto temere di non risalire più sul palco.

Ora che sto bene mi regalo quello che ho sempre sognato: un giro di concerti con sezioni di fiati, di violini, con coristi. Per ora sono una trentina di date in tre continenti ma vedremo cos'altro succederà».

Debutto italiano il 20 giugno alle terme di Caracalla, poi il 7 luglio in piazza San Marco a Venezia, il 13 settembre davanti alla Reggia di Caserta e via fino al 2025, passando per Francia, Germania, Ungheria, Croazia, Svizzera, Canada, Stati Uniti e Australia. E poi Umberto Tozzi va in pensione?
«Insomma... Potrei sognare di scrivere una colonna sonora, potrebbero succedere degli altri incontri, ma bisogna mettere nel conto che c'è un momento in cui si scende dal palco. Con la salute ho trovato più positività, più gioia, ma anche più consapevolezza. Il mio sogno mancato era fare il calciatore. Se ci fossi riuscito, non avrei già smesso da tempo? L'adrenalina del live è fantastica e non ha prezzo, ma c'è la stanchezza degli spostamenti, dei voli intercontinentali».

Come si sentirà quell'ultimo giorno?
«Non lo so. Credo che la commozione supererà ogni altra emozione».

Il tumore alla vescica le ha rubato qualcosa? Rimpianti?
«Nessuno. Ora uscirà anche un mio disco di inediti, non incidevo da tempo, ne presenterò alcuni dal vivo. Le mie canzoni sono finite in film memorabili come “Flashdance”, ho girato il mondo e raccolto soddisfazioni. Va bene, va bene così».

La critica non ha mai amato molto i suoi brani.
«È vero, non capivo cosa c'era di male nel lanciare hit planetarie, poi alla fine si sono convinti: non erano solo canzonette e con la band che mi accompagnerà sottolineerò anche il mio gusto sinfonico».

A proposito ha riletto «Donna amante mia» con Giuliano Sangiorgi in versione orchestrale. Il leader dei Negramaro spiega: «Oggi tanti ragazzi copiano Umberto, abbiamo spogliato la canzone del suo gusto anni Settanta per mostrarne il lato da classicone».
«Giuliano e l'orchestra mi hanno fatto un regalo magnifico: quel brano era nel mio primo album. Un album di insuccessi, bisogna cadere per capire come arrivare in alto».

Chi o che cosa l'ha portata al successo, allora?
«Ero un chitarrista, suonavo per Ivano Fossati, avevo partecipato ai provini di un disco dell'immenso Lucio Battisti. Poi incontrai Giancarlo Bigazzi, lui mi ha cambiato la vita: un giorno siamo andati da Alfredo Cerruti a fargli ascoltare quattro canzoni da dare ai migliori interpreti del momento. Lui ha detto: No, queste canzoni le deve cantare Umberto».

Errori?
«Sono pigro, dopo la malattia forse un po' di meno. Aveva ragione Bigazzi quando mi definiva una Ferrari chiusa in garage. Ho rifiutato la proposta di un grande produttore americano perché non volevo lavorare lontano da casa. Una delle mie occasioni perse, ma altre sono venute».

Come suonerà il suo tour?
«Da sempre rifaccio le mie canzoni come sul disco. A me “Yesterday” piace come nell'originale, con la chitarra, non con un pianoforte tanto per cambiare».

C'è un suo erede?
«Non saprei, ma ci sono tanti ragazzi bravi e anche qualcuno, come i Maneskin, che ha conquistato le classifiche internazionali. Solo che io dopo un disco di insuccessi ne facevo un altro, dopo un anno, e un altro ancora, e le classifiche sono venute. Loro sono più disinvolti di noi, sanno affrontare la stampa e la televisione, ma dopo un insuccesso potrebbero non avere più una seconda chance».

C'è una cosa che tutti vorrebbero chiederle: ma chi è il guerriero di carta igienica?
«Non è molto elegante, ma è proprio un uomo di merda». 

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