Sanremo 2020, ciclone Anastasio: «La mia bomba rap sveglierà l'Ariston»

Sanremo 2020, ciclone Anastasio: «La mia bomba rap sveglierà l'Ariston»
di Federico Vacalebre
Sabato 25 Gennaio 2020, 09:00 - Ultimo agg. 11:52
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«La strada l'ho vissuta come dico io, se vieni a farti un giro nel paese mio capirai perché piangevo quanto crescevo, a 12 anni il mondo in mano ce lo avevo io... capirai che siamo strani, una terra di paesani, imbarcati, villeggianti e panorami». Per capire chi è (Marco) Anastasio, vincitore di «X Factor» nel 2018 ed ora in gara a Sanremo con «Rosso di rabbia» bisogna ascoltare «Cronache di una gioventù metese», un brano del suo primo album, «Atto zero», in uscita a fine Festival.



Un diario dei giorni nella natia Meta di Sorrento, Marco.
«Un diario di giorni di provincia, di una provincia aulica rispetto al resto del napoletano, natura magnifica e paranoia dentro. Nel mio pc c'era una cartella nascosta, mia madre non voleva che ascoltassi Fabri Fibra, Mondo Marcio, Caparezza. Mi ribellavo dicendo parolacce, mi sembrava di trasgredire le regole. Io e i miei amici eravamo quelli strani, poco fighi per tutti. Ci divertivamo con poco, facendo i rammaggi, marachelle da poco. La mia strada erano le partite a pallone scavalcando il muro della scuola media per entrare, negli scontri tra bande le nostre armi erano le arance, i portualli. Una volta ci siamo avventurati fino a Piano di Sorrento, credevamo di aver compiuto un'impresa».

Magari nasce così il tuo flow diverso dal resto dei rapper italiani, cresciuti in periferia. Magari per questo scrivi storie diverse da quelle tutte sesso, droga e provocazione dei tuoi colleghi. Anche se a provocazioni ci vai giù duro anche tu. Nel brano che dà il titolo all'album scandisci: «Notre Dame è in fiamme/ ed è bella come non lo è stata mai».
«Davanti alle immagini dell'incendio mi chiedevo: Cos'è che sta davvero bruciando? Una meta turistica? Il simbolo di una nazione? Il simbolo di Dio? Poi ho realizzato che se muore il simbolo, le idee resistono, se brucia l'arte non va via la storia che rappresenta».

Nel tuo disco c'è anche «Il fattaccio del vicolo del Moro», riscrittura del monologo scritto dal poeta romanesco Americo Giuliani nel 1911 e reso celebre da Proietti: qui ti metti nei panni di un fratricida.
«Di un uomo che uccide per disperazione. Un artista deve avere il diritto di impersonare anche uno psicopatico o un omicida».

Siamo al caso Junior Cally.
«Non è un caso, ma la voglia di polemichetta di cui siamo prigionieri. Non si censura un rapper, una canzone, un film, un libro, un fumetto, non si confonde il racconto con chi racconta. E tantomeno si condanna una canzone in gara per quello che hai scritto in passato».

«Rosso di rabbia», il brano con cui sei in gara, è un flusso potente di parole, la storia di un ventidueenne - ma nei versi hai ancora 21 anni - che si sente come una bomba a cui qualcuno, forse tu stesso, vuole togliere il diritto di esplodere. Perché questa paura di essere disinnescato?
«Sia chiaro subito, parlo per me, non sono un megafono generazionale. Magari altri ragazzi come me avranno paura di non saper mettere a frutto la propria frustrazione, ma la bomba di cui parlo, pronta ad esplodere all'Ariston, dove voglio mangiarmi il palco, è solo mia, sono solo io. Ed io sono atto, atto zero appunto, non azione».

Ci spieghi la differenza?
«L'azione è frutto di un pensiero, l'atto no, succede. L'azione sono degli attori che recitano un copione, l'atto è... Maradona che dribbla nove giocatori, supera anche il portiere e segna. Poesia, certo, ma scritta senza pensare, purissimo atto, sono convinto che Diego si è accorto di che cosa aveva fatto solo dopo il gol».

Rapper-filosofo? Ma restiamo al calcio. Quando ancora ti facevi chiamare Nasta hai scritto «Come Maurizio Sarri». Domani il mister a te così caro torna al San Paolo con la Juve.
«E io penso al Napoli».

Che non vive un gran bel momento.
«È vero, ma la reazione in Coppa Italia c'è stata ed ho fiducia in Gattuso, mi piace vedere un terrone come lui sulla nostra panchina. Ci ritroveremo, risaliremo la china. La cosa più grave successa quest'anno è la distruzione e la criminalizzazione del pubblico, del San Paolo».

Giovedì 6 febbraio, nella serata delle cover, farai «Spalle al muro» con la Pfm. Un brano di Renato Zero adattissimo al tuo stile di riletture.
«Quando mi hanno detto che dovevo fare una cover non ci credevo: ancora, dopo tutte quelle fatte a X Factor? Poi ho trovato il pezzo di Zero, perfetto. Come l'idea di dividerlo con una band che ha fatto la storia: esploderò una volta in più». 
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