Sanremo, la lunga notte di «Brividi»:
i giovani convivono con i veterani

Sanremo, la lunga notte di «Brividi»: i giovani convivono con i veterani
di Federico Vacalebre
Domenica 6 Febbraio 2022, 02:03 - Ultimo agg. 7 Febbraio, 07:29
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Sanremo

Il Festival a generazioni unificate va in archivio con numeri straordinari, sia sul fronte televisivo (la serata delle cover è andata oltre il 60% di share medio, per trovare paragoni bisogna andare indietro fino al 1995, milioni di anni luce fa per la tv generalista) che su quello musicale (Mahmood&Blanco ieri erano sesti nella top 50 mondiale di Spotify, a dimostrare che quando l’Italia si innamora davvero di un progetto si possono avere risultati importanti).

Trionfo di SuperAmadeus a parte, verdetto finale a parte (sala stampa, giuria demoscopica e televoto rischiamo sempre di dar vita a un pasticciaccio brutto), le canzoni di quest’anno sembrano aver attecchito bene.

I «Brividi» della coppia favorita sin dal vigilia hanno risvegliato in città scene di fanatismo non viste da anni, dopo aver battuto qualsiasi record di streaming possibile. Vincono Mahmood (29 anni) e Blanco (18), certo, e vorrei pure vedere che non vincessero con un duetto cresciuto prova dopo prova, trovando un’intesa ed un’empatia che li accomuna molto più che il provenire dalla stessa etichetta, la Island.

Nel Festival fluido cantano un amore che non specifica il sesso a cui si rivolge, ma il modo: «Due ragazzi, appartenenti a due generazioni, amano con lo stesso trasporto e gli stessi timori: la paura di sbagliare e di sentirsi inadeguati», spiegano in coro prima di entrare in scena con due biciclette glitterate.

 

Ma vince Gianni Morandi (77 anni), con un piccolo grande aiuto dal suo amico e autore e ospite Jovanotti: «Apri tutte le porte» è un inno alla speranza prezioso per un’Italia che prova, con paura, a riaffacciarsi la vita. Gianni la canta con retromodernismo contagioso, è il suo modo per ripete il suo antico motto: restiamo uniti. In sintonia con Mattarella & Draghi.
E vince Elisa (44), anche lei, tra l’altro, come Morandi (nel 1987, con Ruggeri, Tozzi e «Si può dare di più») e Mahmood (nel 2019 con «Soldi»): era il 2001 quando vinse con «Luce (tramonti a Nord Est)», «O forse sei tu» sfiora la sua forza evocativa e prepara l’uscita di un album bilingue dopo lunga attesa.
E vincono anche Irama («Ovunque sarai») dopo l’empasse per Covid della scorsa edizione; e Sangiovanni («Farfalle») che dimostra di sapersela cavare anche davanti alla grande platea generalista, di poter andare oltre il fenomeno giovanilista; ed Emma («Ogni volta è così»), davvero venuta qui solo per il gusto di farlo, senza dischi o altro da vendere, senza progetti da lanciare; e La Rappresentante di Lista («Ciao ciao»), di cui si è accorto persino Paolo Sorrentino, ancor prima del bis a cappella di ieri sera.

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Ma, con Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina, vincono anche, sia pur con meno evidenza in classifica, le altre proposte più interessanti di questa kermesse: Massimo Ranieri naturalmente (premio della critica per «Lettera di là dal mare»), Giovanni Truppi («Mio padre, tua madre, Lucia»), Ditonellapiaga e Rettore («Chimica).

Insomma, l’obiettivo più importante del terzo mandato sanremese di Amadeus è centrato in pieno. Dopo aver svecchiato clamorosamente il cast delle edizioni 2020 e 2021, la seconda peraltro drammaticamente vissuta in un Ariston vuoto causa pandemia, e portato a casa l’attenzione delle nuove generazioni, ora il nuovo fuoriclasse Rai ha recuperato alcune leggende della canzone italiana ancien regime ed ha dimostrato la loro capacità di reggere il confronto con i giovani che vengono da Tik Tok, dagli streaming, dai talent show. Una strategia in qualche modo sperimentata l’anno scorso con l’Orietta Berti di «Quando ti sei innamorato», valsole un nono posto e, soprattutto, un rilancio a tutto campo. 

Convinti a partecipare highlander come Morandi e Ranieri, primedonne come Zanicchi e Rettore, ha costruito intorno a loro un listone, anche troppo lungo e non sempre brillante certo, capace di rappresentare generazioni e generi diversi. I suoni alternativi, anche il rock nonostante la pista aperta dai Maneskin, sono rimasti ancora una volta fuori, Giovanni Truppi a parte, ma sul fronte del mainstream il progetto ha colpito in pieno il bersaglio, riportando Sanremo agli anni Ottanta/Novanta, magari non ai mitici Sessanta, quando era davvero lo specchio del Paese. 

L’Ariston gradisce, regala una standing ovation a Massimo Ranieri che cesella la sua canzone, poi si traveste da discoteca per Dargen D’Amico e la sua «Dove si balla»: qui, risponde la platea danzereccia. Che fa lo stesso con l’omaggio alla Carrà del musica «Ballo ballo», mentre per i dieci anni dalla scomparsa di Lucio Dalla arrivano solo le note di «Felicità» e il ricordo dei conduttori. Si può fare di più.

Un Festival che non si arrocca, che si apre all’esterno, lasciandosi contaminare dal Fantasanremo, che chiede a Fiorello & Zalone un lancio armato di sorriso, poi cammina da solo, affrontando, anche con risultati alterni, temi importanti, all’insegna dell’inclusione, rischiando le polemiche, portando a casa persino il ringraziamento del presidente Mattarella. 

Marco Mengoni torna sul palco dove nove anni fa vinse con «L’essenziale», non solo per cantare: con Filippo Scotti, il Fabietto Schisa protagonista di «È stata la mano di dio», snocciola accuse raccolte on line dai leoni della tastiera, ma anche nei bar o sui muri, ricorda gli articoli 21 e 3 della Costituzione e poi si concede un elogio della gentilezza usando i versi del poeta paesologo irpino Franco Arminio: «A un certo punto/ devi capire/ che il dolore che hai subito/ non lo devi subire/ all’infinito./ Mettiti in vacanza,/ la povera vita adulta/ non può pagare a oltranza/ i debiti dell’infanzia./ Dichiara finite le tue colpe,/ scontata la pena./ D’ora in poi ogni giornata/ sarà come prima/ ma dentro di te/ più netta e vera, più limpida/ e sincera./ Tu devi solo la più grande dolcezza possibile/ a chi verrà e a chi andrà via./ È festa nel tuo cuore,/ festeggia in qualche modo/ il cuore degli altri».

Sabrina Ferilli gioca la carta dell’ironia, con un «non monologo» divertito e divertente, un gioco al dire e non dire con una conclusione importante: «Ognuna deve parlare di quello che sa». Un elogio della leggerezza. Come la speranza, come la gentilezza necessarie per ripartire. Sanremo, Italia.

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