Fiorello show a Napoli tra gag, sorrisi e canzoni

Fiorello show a Napoli tra gag, sorrisi e canzoni
di Luciano Giannini
Mercoledì 13 Aprile 2022, 16:12
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Nell'anno del «Karaoke» su Italia 1 - il 1992 - un sondaggio sulla popolarità lo vide secondo soltanto al Papa, che non era uno qualunque, ma Wojtyla. Terzo fu Antonio Di Pietro, l'artefice di Mani pulite (e nell'anno di Mani pulite). Giusto 30 anni dopo, eccolo di nuovo.

Mantiene un profilo discreto; rifiuta interviste, presentazioni e marketing social; soltanto la vecchia pubblicità stradale annuncia il suo ritorno al teatro, cinque anni dopo «L'ora del Rosario». Eppure, lui li riempie, i teatri. Così, con il tocco di un Mida, emergendo dalla nebulosa del Covid come Venere dalle spume. Share cento per cento, ovunque: insomma, Fiorello sarà stasera e domani al Palapartenope con il suo ultimo spettacolo, nato e rodato nelle Marche, frutto della solita pattuglia di fidati, complici autori - Francesco Bozzi, Pigi Montebelli e Francesco Taddia - e della maestria musicale di un altro compare storico, Enrico Cremonesi («è vegan, lo usiamo come green pass»). Il titolo? Autoreferenziale: «Fiorello presenta: Fiorello!». Una summa personale. Un Fiorellissimo.

«Showman, comico, cabarettista, imitatore, cantante, conduttore radiofonico e televisivo, attore e doppiatore»: così lo definisce Wikipedia, ma Rosario Tindaro Fiorello è di più. A cominciare dai nomi: il secondo in omaggio alla Madonna nera di Tindari, venerata dalla mamma; il terzo è il cognome che in Sicilia danno ai trovatelli: il nonno di Rosario era orfano. È di più perché quelle voci di dizionario, quei generi, Fiorellissimo sa fondere in una identità originale e di qualità così eccellente da commuovere perfino la severità del più illustre fra i critici. «Ha avuto l'umiltà di imparare a conciliare istinto e copione»; «è un raro animale da palcoscenico che esalta la platea», afferma Aldo Grasso nella sua Fenomenologia di Fiorello, libro Mondadori del 2008, che fa coppia con l'altra, storica, dedicata a Mike Bongiorno dalla sapienza di Umberto Eco. Nessuno finora aveva meritato così tanto.

E Fiorellissimo conferma il giudizio anche in questo show, a ogni tappa mutevole come i cieli di Scozia, perché così pretende la sua vocazione istintiva alla commedia dell'arte; così esige la sua natura di artista in grado di incarnare ontologicamente il termine «spettacolo»; di trasformare in applauso il racconto della vita quotidiana; di rappresentare, grazie al dono del talento, semplicemente la gente e i suoi pensieri, nobilitandoli, dando loro tutta intera la dignità del palcoscenico.

L'improvvisazione governa sovrana, ma un canovaccio, visto nelle repliche passate, tuttavia c'è. In una scenografia degna del sabato sera in tv, tra orchestra e mega-video, Fiorellissimo agisce con disinvoltura tra imitazioni, canzoni, riflessioni, comicità, leggerezza, intelligenza, buon gusto; buffone e gentleman, cazzaro e filosofo.

In giacca arancione e codino (ormai) finto, celebra il karaoke delle origini; rende omaggio a Battiato e alla Carrà; usa la trap sui «Giardini di marzo» di Battisti; intona «Figli di puttana» di Blanco come se la cantasse il Mimmo nazionale, Modugno; trasforma l'ex scugnizzo Ranieri in un rapper che interpreta «Rose rosse per me» e il ballo alli galli in alli Ghali; imita Achille Lauro che canta Nino D'Angelo; Elvis Preasley alle prese con Baglioni; riflette sui baby-boomers e i tik-tokers. C'è posto anche per Valentino Rossi, Toto Cotugno, Mahmood, Jovanotti e Amadeus, Draghi e la Merkel. E che dire di Tiziano Ferro che intona il «Padre Nostro»? Come sintetizza in una intervista Francesco Bozzi, uno dei suoi autori, Fiorellissimo «è un fenomeno della natura. Bisogna lasciarlo libero di esprimersi. Ogni tanto gli diamo qualche dritta ma, quando va fuori copione, prendiamo appunti per farne tesoro».

Niente male per uno che sognava di diventare calciatore; che strappò la maturità scientifica dopo nove anni e quattro bocciature; che, prima di scoprirsi animatore alla Valtur di Capo Rizzuto, si era cimentato come muratore, idraulico, falegname e centralinista per una ditta di pompe funebri; per uno che ha provato «il diavolo» della droga e ne è emerso in nome di un papà molto amato (se potesse rivivere firmerei il contratto come impiegato di banca a vita»). Il tempo è passato. Il codino che faceva svenire le ragazze come accadeva con i Beatles ha lasciato il posto al corto impreziosito dal candore dei suoi 61 anni; e all'eleganza del fuoriclasse che, per avere successo, ha bisogno non di fingere ma, semplicemente, di essere.
 

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