Teatro San Carlo, Roberto De Simone boccia la Carmen al Plebiscito: «L'opera non va in piazza»

Teatro San Carlo, Roberto De Simone boccia la Carmen al Plebiscito: «L'opera non va in piazza»
di Stefano Valanzuolo
Venerdì 25 Giugno 2021, 14:00
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Con «Regione lirica», progetto inaugurato senza riscontri epocali l'anno scorso dal San Carlo con la Regione Campania e pronto a ripartire stasera, l'opera lirica torna in piazza (del Plebiscito). Una scelta che non è semplicemente effetto del clima tropicale di questi giorni né della pandemia ma sottintende, certamente, la volontà di coinvolgere un pubblico diverso dal solito e, per quanto possibile, ampio e trasversale. Dopo la prova aperta per medici e infermieri eroi della lotta al Covid, stasera tocca all'applauso del pubblico pagante. Si inizia con «Carmen» in forma concertante: sul grande palco di 1500 mq Elna Garana nel ruolo di Carmen, mentre Brian Jadge sarà Don José e Mattia Olivieri sarà Escamillo. Dirige l'orchestra Dan Ettinger.

«Se io fossi uno spettatore», interviene nella questione Roberto De Simone, «mi guarderei bene dall'andare a vedere un'opera in strada, fosse anche in una piazza bella come quella del Plebiscito.

Da un'operazione del genere, infatti, non apprenderei nulla di nuovo e nulla di appropriato. Peggio ancora, ricaverei un'immagine falsata di melodramma». 

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Si è sempre detto che il melodramma, però, è un linguaggio popolare...
«Che piaccia a tanta gente è fuor di dubbio. Ma sia chiaro: il melodramma, per storia e tradizione, con la cultura di strada non c'entra niente. L'opera va proposta nei teatri così come i concerti vanno fatti nelle sale create per l'ascolto. Il resto è rumore, nel quale diventano incomprensibili musica e testo».

«Opera in forma di concerto»: se ne parla spesso, ma in fondo è una specie di ossimoro...
«Certo. Che senso ha vedere un cantante immobile sul palco, senza libertà di movimento, che non contribuisce all'azione? Dov'è più il teatro? A meno che non si lasci passare l'idea che possa esistere un melodramma svincolato dal concetto stesso di rappresentazione teatrale. Ma non è possibile, mi creda. È un'aberrazione».

Perché, allora, si conducono operazioni del genere, secondo lei?
«Perché stiamo attraversando, purtroppo, un'epoca di vero e proprio neofascismo culturale, in cui vengono portate avanti e imposte scelte contrarie alla Storia stessa. Un'idea di cultura che non tenga conto delle tradizioni acquisite e della vocazione di certo repertorio, oggettivamente colto e glorioso, è malsana».

Inutile che le chieda cosa pensa dell'utilizzo - necessario in contesti tanto ampi - dei microfoni e dell'amplificazione...
«Appunto. Il rilievo mi aiuta a ribadire che non sono quelli gli spazi dell'opera; e neppure i modi, i tempi. Per quanto bravi possano essere i tecnici, ciò che si ascolta risulta alterato nei colori, nelle dinamiche, negli equilibri. Insomma: uno pensa di stare sentendo Carmen o Il trovatore, ma in realtà ha davanti un'altra cosa, che con Bizet o con Verdi c'entra poco o nulla».

Anche senza scene e costumi, anche con i microfoni può capitare comunque che qualcuno - in occasioni del genere - scopra il mondo dell'opera e se ne innamori...
«Se pure accadesse, non sarebbe il punto di partenza corretto. Un titolo eseguito senza scene, senza i fondali dipinti tramandati dalla tradizione, tradisce le intenzioni dell'autore e cancella d'un colpo la magia del melodramma».

Eppure, di megapalchi in piazza se ne vedono in giro parecchi, ormai...
«Questo, ahimè, è l'effetto nocivo indotto da una nuova logica imperversante, quella dell'evento. Ci faccia caso: sempre meno concerti, sempre meno opere... Adesso vanno di moda gli eventi, la cui ragione stessa di esistere sembra già dichiarata nel termine: ex vento Dal vento sono sospinti e nel vento, queste occasioni, vanno quasi sempre a finire».

Neppure un cast importante o un gran direttore sono in grado, secondo lei, di rallentare l'incedere del vento dell'oblio?
«Non è questione di cantanti e direttori, è il principio che non funziona. Personalmente, lo ripeto, trovo inappropriato sempre l'utilizzo di materiale melodrammatico nelle piazze».

Una curiosità a margine, maestro, prima di chiudere la conversazione: è mai stato contattato, poi, per la nuova Accademia del San Carlo, che rivolgerà attenzione anche al Settecento napoletano?
«Salutiamoci, che è meglio. Una buona giornata». 

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