Cosche e bagarinaggio,
il business nero delle curve italiane

Cosche e bagarinaggio, il business nero delle curve italiane
di Valentino Di Giacomo
Lunedì 31 Dicembre 2018, 10:00
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C'è la mafia, la droga, il bagarinaggio, la vendita di gadget. Commerci illegali, sotto-banco, che però senza il distintivo della violenza fanno fatica ad essere portati avanti per il mondo ultras. I raid militari, come quello avvenuto prima di Inter-Napoli contro i tifosi partenopei, servono solo a cementare i gruppi organizzati, a perpetrare quel finto codice ultras della «coerenza e mentalità» che illude e affascina i più giovani e le menti più deboli. Dietro quella patina di «orgoglio e identità», il più delle volte c'è solo l'intenzione di mettere in piedi facili guadagni e occupare una posizione di potere, talvolta ricattando i club di calcio. I gruppi organizzati delle curve italiane sono per la maggioranza verticistici: pochi capi e tanti soldati, spesso inconsapevoli di combattere guerre che hanno tutt'altro fine. Un mondo ultras ormai uniforme, senza sfumature, dove persino i cori sono standardizzati e uguali in ogni stadio non solo d'Italia, ma anche d'Europa
 
La violenza da stadio è militarmente pianificata. Nella scala gerarchica dei gruppi organizzati, dopo i capi, ci sono i gregari. Una sorta di luogotenenti che fanno da raccordo con i soldati semplici. Si formano così i commando che a volte partono per tendere delle imboscate ai tifosi avversari, altre concordando con i rivali luogo e orario dello scontro. Le comunicazioni prima della guerriglia tra fazioni avverse avvengono sia sul web che per telefono, nel mondo ultras ci si conosce e riconosce tutti. Le guerriglie avvengono sempre più di frequente lontano dagli stadi dove è più difficile essere identificati. «Va detto però spiega Girolamo Lacquaniti, portavoce dell'Associazione dei funzionari di polizia che questa è un'analisi superficiale del fenomeno, gli scontri lontano dagli stadi sono una metastasi del tumore che è sempre all'interno delle curve ed è lì che bisogna intervenire applicando tutte le norme che esistono».

Nel codice ultras la guerriglia è uno dei primi modi per acquisire importanza e posizioni di rilievo. Gli scontri sono utili per riscuotere visibilità sia all'interno del gruppo di appartenenza che nei confronti degli altri gruppi organizzati. Per comprendere cosa siano diventate le curve basta leggere la storia dei Viking, uno dei gruppi interisti protagonisti degli scontri nel giorno di Santo Stefano. «L'idea di entrare nelle curve avversarie contro tutto e tutti, raderle al suolo e portarci a casa i loro vessilli - così si descrivono gli ultras nerazzurri - per noi è tutto». Una logica militare, ma soprattutto una propaganda valida quasi per tutti i gruppi che spesso si differenziano tra loro solo per il credo politico. Ogni grande gruppo conta dai 300 a meno di 2mila affiliati. Quelli che più hanno fatto parlare di sé negli ultimi anni sono quelli legati alla Lazio, alla Juventus, alla Roma e all'Inter. Ognuno di questi gruppi è rappresentato da figure quasi mitologiche per il mondo ultras: come ad esempio Diabolik, al secolo, Fabrizio Piscitelli. capo del gruppo di estrema destra, «Irriducibili», nel 2016 all'ultrà biancoceleste vennero sequestrati due milioni di euro. Ritenuto dalla guardia di finanza promotore e finanziatore di un traffico internazionale di stupefacenti, gran parte dei suoi guadagni provenivano dalla commercializzazione di gadget della sua squadra del cuore. Per Diabolik anche una condanna per estorsione ai danni del presidente della Lazio Lotito inviso a gran parte della tifoseria laziale proprio per aver reciso i rapporti con gli ultras. È questo solo uno dei tanti esempi di come la violenza serva il più delle volte per acquisire potere ma con il fine ultimo del profitto.

Profondi i rapporti tra alcuni gruppi ultras e la criminalità organizzata. Lo scorso anno del fenomeno se n'è interessata anche la commissione parlamentare Antimafia. La situazione più complessa riguarda la Juventus, i cui gruppi organizzati hanno legami con le ndrine e fanno enormi affari. Andrea Pontorno, leader dei «Bravi ragazzi» dichiarò che grazie al bagarinaggio e al merchandising di prodotti della sua squadra del cuore di riuscire a guadagnare anche 40mila euro al mese. «Va tolta spiega l'Anfip quella patina di onorabilità che hanno acquisito gli ultras, così come è stato fatto con la mafia».
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