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Messi si accende e accende l'Argentina ma il mito Maradona resta inavvicinabile

Mille partite in carriera e l'ossessione della coppa d'oro

Leo Messi superstar a Doha
Leo Messi superstar a Doha
di Pino Taormina
Articolo riservato agli abbonati
Lunedì 5 Dicembre 2022, 07:00 - Ultimo agg. : 6 Dicembre, 07:25
4 Minuti di Lettura

Le mille e una notte di Leo Messi. Con l'Australia la Pulce varca quota mille partite giocate in carriera, ma la sua ossessione resta la coppa d'oro. Vuole alzarla nel cielo stellato di Doha, l'Argentina la reclama, la pretende. Non sarà mai l'erede di Diego Maradona, si è messo l'anima in pace, anche se dovesse l'Argentina vincere il Mondiale, cosa che non avviene proprio da quel 1986, in Messico. Magari forse proprio per questo in Qatar la Pulce sta facendo la differenza, finalmente, anche con la Seleccion. Ha capito che Diego resta irraggiungibile e che nessuno invoca più paragoni con il Pibe de oro. Una specie di maledizione, per la Pulce. È una liberazione: l'anno scorso la Coppa America, ora la ricorsa alla finale senza il peso della rincorsa al mito. Che non può essere afferrato. 

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È stato uno dei pochi a non uscire dal ritiro dell'Argentina dopo 18 giorni di reclusione. Ha preferito ospitare moglie e i tre figli nel resort di Doha e postare la foto con la moglie Antonela al chiaro di luna. «Non lo so se contro l'Australia ho giocato la mia migliore partita, so che voglio far meglio contro l'Olanda». Non è il suo primo quarto di finale, uno scoglio che spesso non ha superato. Nel 2014 la finalissima di Rio de Janeiro persa con la Germania, quattro anni fa l'eliminazione ad opera della Francia agli ottavi. E adesso? Non vuole andar via con il solito classico triste solitario y final, perché se non vince sarà questo che scorrerà nei titoli di cosa. Sogna il colpo grosso. Il calcio ha un suo modo di misurare la gloria, magari grezzo: sei il più grande quando batti e ti batti tra gli altri grandi. E quindi se vinci un Mondiale. Maradona ci è riuscito. Solo, solissimo, contro tutti. Sono 16 anni che Messi ci prova e non ce la fa: arriva alla fase finale e poi si perde, non riesce a onorare se stesso, quello che fa con la squadra di club. In Qatar tutti sperano che non sia così: ha la peggiore nazionale dal 1986 in poi (forse peggiore pure di quella che Maradona trascinò, da solo, alla vittoria della Coppa in Messico). Nove i gol finora in quattro edizioni mondiali: 1 gol in Germania (2006), 0 in Sudafrica (2010), 4 in Brasile (2014), in Russia 1 gol (alla Nigeria) e in questa edizione sono 3 gol in 4 partite (e un rigore fallito). Non è una statistica, è l'encefalogramma di un calciatore che adesso sembra dare segnali di vitalità. Dopo aver sempre tradito la sua nazionale. Stavolta tira un'altra aria. E non solo perché è il suo ultimo assalto a un Mondiale. Ha battuto Maradona solo per numero di Mondiali giocati, non certo per il tipo di impatto che ha dato: la Pulce resta una pulce rispetto a D10s. Due mondi diversi: uno che non si sognerebbe mai di invocare la mano di dios per il gol segnato agli inglesi che aveva invaso le isole Malvine. Maradona dell'odio altrui si è nutrito: Messi, per le critiche, voleva persino separarsi dalla nazionale per un amore sterile che lo soffocava. E nell'ovvietà: l'Argentina non è il Barcellona o il Paris St Germaian, qui devi guidare, in Spagna e in Francia il navigatore è inserito, premi l'acceleratore e vai. Ha festeggiato con i tre figli l'approdo ai quarti dove trova l'Olanda. Come nel 2014. Lo schema per Scaloni è quello di tutti gli altri: palla a Messi e poi ci pensa lui. Qualche volte non ci pensa lui, a dire il vero. «L'Argentina è una potenza da sempre, fino ad adesso abbiamo fatto solo un piccolo passo: stiamo dimostrando sul campo il nostro valore». Mette il noi davanti all'io. Ma per carità: lasciatelo in pace, pure se vince il Mondiale, non sarà mai come Diego. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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