Juventus-Napoli 3-0, ecco il ricorso:
«Violati principi del giusto processo»

Juventus-Napoli 3-0, ecco il ricorso: «Violati principi del giusto processo»
di Pino Taormina
Domenica 20 Dicembre 2020, 12:00 - Ultimo agg. 12:33
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Tre partite in 72 ore. Stasera con la Lazio, mercoledì con il Torino e martedì pomeriggio quella, forse, più delicata. Non su un prato ma in un'aula del palazzo del Coni, al Foro Italico, al Collegio di garanzia dello sport. E che mette in palio ben 4 punti: per la penalizzazione in classifica e per la sconfitta a tavolino. Trentadue pagine di ricorso, protocollato con il numero 01176, con cui De Laurentiis prova a ribaltare le sentenze del giudice sportivo e della Corte sportiva d'appello della Figc. E in cui il Napoli respinge in ogni punto le motivazioni che hanno portato alla condanna. Per prima cosa, il nuovo avvocato Enrico Lubrano, che affianca il consulente legale Grassani, parla di «una causa di forza maggiore che è stata preclusione alla trasferta, intervenuta già il giorno prima della partita». In pratica, ed è questo il punto chiave, il successivo provvedimento del 4 ottobre aveva carattere solo confirmativo e non di primo provvedimento di preclusione alla trasferta. Non è un dettaglio di poco conto: ma la difesa del Napoli va oltre e spiega che pur volendo ammettere che è il provvedimento della domenica, ovvero quello delle 14,33 ad aver vietato la trasferta (così come rilevato dalla Corte sportiva), in ogni caso avrebbe valenza «di atto di forza maggiore».

Il Napoli spiega che, pur avendo disdetto voli e tamponi, nel caso in cui avesse avuto l'ok per la trasferta «in bolla» non avrebbe avuto problemi a fare i test a Napoli e arrivare in tempo utile allo stadio, ovvero entro le 21,30. E poi c'è l'affondo contro le motivazioni del giudice sportivo e della Corte d'appello perché, scrivono i due avvocati nel ricorso, non c'è una «benché minima prova» di una condotta in malafede del Napoli. In pratica la condanna in primo e secondo grado violano i principi cardine del giusto processo: la presunzione di buona fede e il principio del in dubio, pro reo. Qui, sarebbe avvenuto il contrario. Perché non c'è movente o interesse della società a non giocare la gara. «Il Napoli era primo ed era reduce da un 6-0 in casa». Gli indizi che hanno portato alla condanna, è la tesi del sodalizio, azzurro sono infondati e del tutto erronei perché puntano l'indice su tre condotte della società (corrispondenza con le autorità sanitarie, disdetta dei voli e poi dei tamponi) che invece sono state giuridicamente dovute (le segnalazioni alle Asl e all'ufficio di Gabinetto della Regione) e assolutamente giustificabili alla luce dei provvedimenti di isolamento fiduciario che di fatto, inibiscono alla partenza. Il ricorso del Napoli è contro Figc, Juventus e Lega Serie A. E nessuno si è costituito in giudizio, come è ormai noto.

Nel ricorso al Coni, il Napoli ricostruisce passo dopo passo quello che ha fatto dal momento in cui è stata comunicata la positiva di Zielinski. E insiste: è errato non considerare preclusivi alla trasferta i provvedimenti dell'Asl. E soprattutto, scrive, il Napoli non aveva interesse (o movente) a non giocare. Il club insiste sul fatto che erroneamente la Corte sportiva indica nel provvedimento del 4 ottobre, quello delle 14,13 della Asl Napoli 2 Nord, quello che vieta di partire.

Motivo per cui il Napoli aveva tutto il tempo di partire la sera prima per Torino. Ma secondo Lubrano e Grassani le motivazioni che portano alla condanna sono illogiche, incoerenti e irragionevoli. Il Napoli insiste: alle ore 19 del sabato già sussistevano tutti gli elementi preclusivi ad effettuare la trasferta emanati dalle autorità sanitarie competenti sulla base delle normative e non derogabili neanche dal Protocollo Figc. Partire, avrebbe quindi significato incorrere in sanzioni penali e amministrative in quanto violazione a provvedimenti «a tutela della salute pubblica». Insomma la trasferta non è stata autorizzata «neanche facendo applicazione della facoltà discrezionale di concedere una deroga per la cd. trasferta in bolla come previsto dalla circolare del ministero della salute del 18 giugno 2020». 

Il Napoli retrodata la rinuncia. Non avviene alle 21,30, quando l'arbitro Doveri accerta l'assenza della squadra ospite nel referto arbitrale, ma 26 ore prima, quando la squadra è scesa dal bus a Castel Volturno su provvedimento dell'Asl. Il Napoli sostiene che anche se la squadra avesse ignorato il divieto e fosse partita, alle 14,13 quando è stata raggiunta dal secondo provvedimento, «o saremmo dovuti rientrare a Napoli o saremmo dovuti restare in isolamento in hotel a Torino». Ma di certo la partita non si sarebbe comunque disputata. Il giudice ha applicato il principio della rinuncia. Insomma, il factum principis (la forza maggiore, in pratica) quello che impedisce la disputa della partita, secondo la Corte sportiva ci sarebbe stato e sarebbe il provvedimento della domenica pomeriggio. Eppure, scrive il Napoli, pur riconoscendolo non gli ha dato peso e rilevanza, parlando di comportamento sleale, che il Napoli usa per precostituirsi un alibi. Ed ecco che il Napoli va al contrattacco: nella sentenza di secondo grado vi è il riconoscimento di un factum principis prima della gara che ne avrebbe impedito lo svolgimento. E il Napoli qui richiama una sentenza della Cassazione del 1982: «Il factum principis, idoneo a escludere l'imputabilità dell'inadempimento, può individuarsi in un provvedimento legislativo o amministrativo, dettato da interessi generali, che renda impossibile la prestazione, indipendentemente dal comportamento dell'obbligato». Sembra proprio il caso del Napoli. Insomma, senza avere prove non si può dire che il Napoli non voleva giocare la partita con la Juventus. D'altronde, sia il giudice sportivo che la Corte sportiva in ogni caso stabiliscono che è il provvedimento delle 14,13 quello che impedisce e giustifica il mancato svolgimento della partita. La rilevanza della forza maggiore è stata esclusa sulla base della considerazione che la stessa sarebbe stata assorbita dalla condotta colposa o addirittura dolosa (la corte sportiva) del Napoli. La asserita malafede, posta come presupposto giuridico della condanna in secondo grado, risulta violare i principi di ragionevolezza e buon andamento dell'azione amministrativa. «Siamo stati leali e lineari, non c'è stato alcun dolo di preordinazione». Poche ore e sapremo il verdetto.

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