Sulle mura di via Martucci ci sono tre disegni: un murales di Maradona, uno scudetto fresco col numero 3, la formazione del Napoli che ha vinto il campionato. Ma gli autori dovranno mettere nuovamente mano al pennello. Perché in quell'undici che andrà in campo servirà aggiungere con ogni probabilità anche il nome di Mazzocchi, uno che la piazzetta di Barra la conosce bene. Pasquale è pronto a firmare il contratto che per i prossimi tre anni e mezzo lo legherà al Napoli, la squadra di cui è tifoso da sempre lui, papà Ciro e anche il resto della famiglia. L'azzurro lo sogna da quando nel quartiere lo chiamavano «miezu chilo», mezzo chilo. Sì, perché quel fisico gracile e indolente non voleva saperne di crescere. Poi, come nella miglior versione del brutto anatroccolo, Mazzocchi s'è fatto cigno ed ha spiccato il volo. Il nido, però, non è mai cambiato.
«Eppure non l'avrei mai detto», papà Ciro cammina per le vie strette del Rione Bisignano - il più popolare del quartiere - con gli occhi di chi non sa se crederci o darsi un pizzicotto per svegliarsi. Un figlio con addosso la maglia del Napoli. La squadra per cui tifa da sempre. Accanto a lui c'è Antonio, il figlio più grande: «Era Antonio il più forte tra i due. Ma Pasquale non si è mai arreso». Mazzocchi ha scelto il calcio proprio grazie a lui: entrambi nella scuola calcio Carioca, un modo per togliersi dalla strada, per smettere di frequentare il campetto del rione e assaggiare un po' di pallone vero. «Mio fratello era bravo.
Solo il lavoro. Tutto parte da lì. Avrebbe potuto fare anche il cantante, ma se il calcio è stato la strada di Pako lo si deve tutto o quasi a Giuseppe Araimo, il suo primo allenatore. «Giocava sotto età. Fisicamente era piccolino, tecnicamente faceva la differenza, con me giocava da ala» ricordo «Con me ha sempre mantenuto rapporti. Ci siamo sentiti anche in queste ore tra visite mediche e firma». Un aneddoto: «In un derby Carioca-Centro Ester lo convocai anche se sotto età. Erano partite sentite, non si risparmiavano legnate. «Non volevano che lo convocassi. La maglia gli arrivava ai piedi. Lo metto gli ultimi minuti e fa gol. Fu la prima di tante soddisfazioni». Alla Carioca - la scuola calcio che fu anche di Borriello - i primi provini e i primi osservatori prima di spiccare il volo tra Benevento, Bellaria e Rimini.
«Mazzocchi orgoglio di Barra» recitava così uno striscione apparso dopo la convocazione in nazionale. Non è cambiata la sostanza qualche mese più tardi. «Pasquale è sempre stato un esempio, lo sarà ancora di più oggi per tutti i bambini del quartiere. E magari aiuterà a accendere i riflettori su Barra. Abbiamo bisogno che le istituzioni promuovano il talento di chi vive qui. Nel calcio o in altri settori» le parole di Gianfranco, numero uno del Gran Caffè Bottone, bar storico di Barra e punto di riferimento per la famiglia Mazzocchi. «Veniva qui a tagliare i capelli da ragazzino. Con lui e la famiglia c'è sempre stato un rapporto, sono persone semplici che conoscono il valore del lavoro» gli fa eco Giuseppe Paparone, numero uno di Identity Salon a poca distanza dal Rione Bisignano. Tutti qui tifano azzurro e tutti qui da anni ormai tifano anche Mazzocchi. Che ora fa rima con Napoli. Che da sempre fa rima con Barra. È la vittoria di chi non si è mai arreso. Pako s'è fatto cigno e ora è lì dove ha sempre voluto essere.