Napoli-Fiorentina, Mertens
l'unico azzurro che rimase vivo

Napoli-Fiorentina, Mertens l'unico azzurro che rimase vivo
di Marco Ciriello
Venerdì 14 Gennaio 2022, 08:00
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In una sera fredda, buia e sterile, la Fiorentina e l'arbitro Giovanni Ayroldi pugnalano cinque volte il Napoli, come se fossimo in un racconto di Stephen King, e l'unico che riesce a uscire vivo pur rimanendo in campo fino alla fine dei supplementari è Dries Mertens. L'unica certezza. Nel Napoli oscuro che deve valorizzare Elmas e farlo giocare, che deve far riposare Juan Jesus, e far correre Axel Tuanzebe, il vecchio Mertens continua ad essere la luce. Lotta, segna, dribbla e soprattutto corre restando una presenza di corpo e voce. Uno scippo. Va in gol con un pallonetto di velluto che tira via mentre protesta per un fallo su Andrea Petagna, come se fosse pallastrada, con una ubiquità di pensieri e corpo, si lamenta con Ayroldi ma intanto segna, inveisce contro Ayroldi ma nel frattempo calcia, urla prima di lamento poi di gioia, ha il sinistro piantato per assalire e il destro per marcare. Uno spettacolo, puro Scarpetta, sembra davvero incarnare il calcio di strada e le strade napoletane, coniugandole in campo: toni, gesti e parole. Prima che un calciatore è una maschera. Ride, spensierato, corre e si diverte, anche quando il Napoli sfoggia tutta la sua cupezza, Mertens è l'anomalia, l'isola a sud di Fuorigrotta, dove si lotta fino a fine, divertendosi, non a caso le sue strigliate vanno all'Elmas imbambolato e sciagurato. Vorrebbe da lui l'eloquenza e l'efficienza che lo contraddistinguono, si aspetterebbe dal ragazzo un pragmatismo in area che appare molto lontano, nonostante tecnica e palleggio. Ma Mertens dimentica che lui è un calciatore-avvenimento e gli altri sono una conseguenza. La sua alta intensità in area, i suoi tocchi, le sue giocate, in serate così diventano assolutismi inutili, soprattutto quando Lozano e Ruiz entrano in campo senza testa, e vanno subito fuori, ancora un po'. Come se non bastasse il resto, come se non bastassero le rotazioni da ospedale da campo che la squadra subisce, che portano pure Spalletti a brusche conclusioni, con una mentalità da trincea, tutte al risparmio.  

 

L'unico settore che non esce sfasciato da questa partita è proprio l'attacco, quello che era in apnea poi, grazie ai gol di Mertens e Petagna, anche se poi sono stati vanificati da diagonali mancanti, marcature distratte e gran tiri (almeno tre su cinque).

A fare due conti resta il belga, ci si aggrappa a lui, sperando che continui a toccare la palla provocando scintille, che la sua elettricità, i suoi scatti alternati ai riposi d'appoggio, possano traghettare il Napoli lontano da partite così sciatte. Sperando che ci siano più azioni ardite alla Mertens e meno occasioni, palle, azioni sciupate alla Elmas. L'attaccante belga è geometrico e cattivo, preciso e pungente, e non butta via niente. La sua è una eleganza che migra in alto, che sposta il tiro, che trascina e sorprende, tanto che poi quando il corpo lo abbandona, le forze finiscono, il Napoli va in blackout. Le sue intuizioni, la sua velocità mentale, i suoi scippi, andrebbero studiati, e prima capitalizzati meglio. Il suo gol nasce da una palla rimbalzante, con un fallo in atto, e lui riesce a sdoppiarsi mentre calcia. Una grande lezione di perspicacia cavalcando due soluzioni, invoca il rigore mentre appoggia il pallone in porta, è questo il calcio di oggi: essere doppi. Mertens lo è, incrocia euforie, quella da sindacalista che invoca il fallo, e quella da cacciatore che porta a casa la preda. Un tiro col sospiro. Un gesto audace e di finezza, esplorando la psiche arbitrale. Integra al corpo la voce che misura un'altra possibilità: solo Ronaldinho lo faceva meglio, predicare distrazione mentre disegnava perfezione. 

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