Osimhen al Napoli, il super bomber
che non aveva nemmeno le scarpe

Osimhen al Napoli, il super bomber che non aveva nemmeno le scarpe
di Pino Taormina
Giovedì 30 Luglio 2020, 08:30 - Ultimo agg. 08:33
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Victor Osimhen non vive per il calcio, lo prende come un divertimento molto ben remunerato ma non una cosa che deve riempire totalmente la sua vita, anzi. La vita è ben altro. Non ha ancora 22 anni ma è come se ne avesse il doppio, perché di vite ne ha già vissute parecchie: cataclismi, lutti e delusioni l'hanno squassato e indurito, l'hanno reso uomo prima degli altri. L'infanzia a Lagos, in Nigeria, nella miseria più assoluta, poi la partenza per la Germania a Wolfsburg, la solitudine, il passaggio allo Charleroi, le big che se lo contendono, il terrore per il razzismo, la scelta di andare al Lille e ora quella di venire al Napoli. La vita di Victor non è solo fatta di gol, anche se sono quei gol a portarlo qui, alla corte di De Laurentiis, l'acquisto più importante della storia del club azzurro. Ma quei gol non bastano a capire il ragazzo dai capelli tinti di biondo che prima di dire di sì ha voluto conoscere il suo allenatore e il suo presidente, li ha voluti guardare negli occhi, capire se qui a Napoli può avere quella famiglia di cui, probabilmente, ha ancora bisogno. Nonostante i sei fratelli e sorelle che lo accompagnano in ogni suo passo.

Nemmeno 22 anni e una vita fatta di addii e di traslochi. Ora ne prepara uno qui, appena 12 mesi dopo il passaggio dallo Charleroi al Lille. Pagato 12 milioni, rivenduto a 55. Gerard Lopez, ex boss della Lotus, sa come spendere i suoi soldi: mentre vendevano Leao al Milan e nelle stesse ore in cui i manager di Pépé andavano in giro per ritiri a mendicare milionarie commissioni, Lopez prendeva dallo Charleroi questo ragazzone nigeriano di 20 anni, destinato a incantare la Ligue 1 in meno di 7 mesi. «Vado a Napoli, spero tanto di seguire le orme di Cavani», ha detto a uno dei tanti (troppi) del suoi entourage. Non finiscono mai. Ce ne sta sempre uno pronto a parlare per suo conto.

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Però deve essere un bel tipo, questo ragazzo: ha girato le spalle ai suoi storici agenti nel pieno della trattativa con il Napoli e si è consegnato nella mani di D'Avila e saggiamente in quelle di Andrea D'Amico, uno dei manager più esperti e competenti del nostro Paese. Non si sa se sono più le lacrime che ha versato o i gol che ha fatto. Perché la sua è una storia che commuove. Nel dialetto nativo di Edo, la regione della Nigeria di cui è originario, Osimhen vuol dire Dio è buono. Infatti, la famiglia è assai religiosa. Come tanti in quella terra africana. Da piccolo accompagnava la madre a vendere acqua ai semafori nel tentativo di arrotondare le entrate. È difficile la vita. Perde la mamma piccolissimo, entra in una scuola elementare a Olosuson grazie al fratello Andrew, vera stella calcistica della famiglia. E lui a chiedere al preside di far studiare il piccolo Victor. Ed è Andrew a capire per primo tutto: non è lui il gioiello di casa ma Victor. Decide di lavorare per aiutare economicamente la famiglia (anche perché il padre nel frattempo ha perso il suo impiego) e sostenere il sogno del fratellino che mostra tutto il suo talento nei campi malconci di Lagos. E l'Academy dell'Ultimate si accorge di lui: arriva una specie di borsa di studio che consente a Victor di pensare solo al calcio. Nel 2014 il primo stage con la nazionale nigeriana. Con i suoi gol trascina la Nigeria alla fase finale del Mondiale Under 17 in Cile. È il boom. Lo cercano tutti in Premier, ma lui sorprende il mondo: ha avuto fame, non vuole più averne. Sceglie la squadra che gli offre di più, anche se non è il Manchester City o Arsenal: va al Wolfsburg dove i dirigenti promettono che nel caso, nella città della maggiolino, ci sarebbe da lavorare anche per qualche familiare. Victor da poco è stato nominato miglior giovane africano del 2016.
 
 

Da Lagos alle ciminiere della Volkswagen, dalla fame alla terra della speranza, dove anche tanti italiani negli anni 50 e 60 hanno cercato e trovato l'America. Ma nelle (tante) vite di Victor c'è sempre spazio per la sfortuna: un infortunio alla spalla e soprattutto la malaria contratta durante un viaggio in Africa gli impediscono di giocare per praticamente tutta la stagione. E così perde anche il treno che lo avrebbe potuto portare al Mondiale di Russia 2018. Ma non è l'unico treno che sembra aver perso: zero gol in due stagioni in Bundesliga, il sogno di diventare una stella del calcio sembra essere finito. Perché questa è l'età in cui il destino si compie. La malaria sembra averlo debilitato del tutto, va a fare dei provini in Belgio, viene bocciato dal Waregem e Bruges. Ma ecco che qualcosa si illumina nel suo cammino: arriva il contratto con lo Charleroi. Non il massimo per uno che ha detto no al City e a mezza Premier. Ma va bene così. In 36 partite segna 20 gol, scatta il riscatto automatico perché dal Wolfsburg era in prestito. Sembra una favola. Vola in Francia. Adesso in Italia. Racconta di amare la musica della sua terra africana. Il preferito è Olamide. E la sua canzone simbolo si chiama: Seduto su un trono. Non era un predestinato, non lo era affatto, ma il calcio è questo. Vive col terrore del razzismo, l'immagine dell'Italia all'estero non è limpida sotto questo aspetto. Koulibaly ha ammesso di averlo dovuto tranquillizzare. Ed è stato l'ultimo tassello prima del sì. Osimhen è il calciatore più pagato da De Laurentiis. Nell'operazione pare è entrato anche il capitano della Primavera del Napoli, Manzi. Ischitano. Anche per lui, l'occasione per inseguire un grande sogno. 
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