di Oscar de Simone
Disperazione, rabbia e incertezza per il futuro. Questi i sentimenti che in questi giorni di lotta e di protesta, accompagnano gli operai rimasti senza lavoro all’esterno dell’azienda Hitachi in via Argine a Napoli. «Sono una madre e una moglie che ormai sta perdendo tutto», racconta Lucia. «Mio marito dopo trent’anni di servizio è rimasto senza lavoro ed ora per mia figlia non c’è speranza. Da oltre vent’anni, curiamo le sue disabilità impiegando tutto il nostro tempo ed il nostro denaro. La mia ragazza è costretta in carrozzella da un grave handicap che ci porta a dover viaggiare spesso in giro per l’Italia, ma da oggi a quanto pare non sarà più possibile. Una cosa è certa, io non mi arrendo».
Proprio pochi giorni fa, infatti, Lucia è salita sul tetto dell’azienda con uno striscione e una latta di benzina. Solo le sue precarie condizioni fisiche, dovute al forte calore, l’hanno costretta a dover rinunciare al presidio per raggiungere il pronto soccorso dell’ospedale Loreto Mare. «Mi sono sentita male e i colleghi di mio marito mi hanno portata di urgenza al Loreto. Io sono intenzionata ad andare avanti e se nei prossimi giorni non avrò risposte farò ancora di peggio».
Non solo Lucia continua questa protesta. C’è anche Massimiliano, che ha già tentato il suicidio. «Se sono ancora vivo - racconta - lo devo esclusivamente alla prontezza di mia figlia che vedendomi con il coltello in mano ha saputo fermarmi in tempo. A casa sono l’unico a lavorare e posso dire in pochi giorni la mia vita è stata talmente stravolta, da farmi pensare più volte al suicidio. I segni che ho sui polsi non andranno mai più via e neanche il terrore per il futuro della mia famiglia. Quello che chiediamo è solo di essere reintegrati come è già successo ad altri nostri colleghi. Abbiamo bisogno di lavorare per poter continuare a vivere in maniera serena e dignitosa».
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