Patrizia Cirulli mette in musica Eduardo De Filippo

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Milanese, cantautrice, Patrizia Cirulli, aveva già messo in musica poeti come Catullo e Baudelaire, Garcia Lorca e Quasimodo, trovando spazio tra di loro per una lirica di Eduardo De Filippo. Un esperimento-incontro che non ha voluto rimanesse episodico, tanto da lavorare ad un intero album, «Fantasia», pubblicato da Squilibri, e costruito interamente intorno ai versi del drammaturgo partenopeo, da lei musicato dopo un lungo studio del dialetto che domina con eleganza, spesso anche con la morbidezza necessaria.

Da «Relogio cumpiacente» a «Penziere meje», l’Eduardo versificatore si presenta in una nuova luce, che più sorprende quanto più sono note le poesie scelte, come nel caso di «Si putesse truva’ pace», in cui interviene la voce di nostra signora del canto popolare Fausta Vetere ad aggiungere una passionale veracità.

Non sempre, anzi raramente, la costruzione in musica insegue l’adattamento alla forma canzone, al modello strofico, preferendo un allineamento che guarda alle antiche ballate, grazie soprattutto alle corde suonate da Marcello Peghin, che firma anche la direzione musicale, che si muove tra suoni da camera ed esperimenti più contemporanei. Quando, però, succede, come in «È notte» e, soprattutto, in «L’amore che d’è», prezioso duetto con Dario Sansone dei Foja, il risultato è doppiamente stimolante, la lingua di De Filippo echeggia diversamente cara nell’ugola della Cirulli, appassionata, ma anche «vergine di servil encomio», alle prese con un repertorio in cui si immerge con passione, ma senza la pretesa di dominarlo sino a possederlo, anzi con la lasciva consapevolezza di chi vuole farsene possedere senza pudori, abbandonandosi al suono insito nella musicalità delle liriche, che detta l’intera operazione.

Patrizia si è allontanata dalla sua confort zone, da casa, dalle radici. Non ha troppi modelli, troppe inibizioni a tarparle le ali. Non deve essere simile a..., né diversa da... Come nello stile di Squilibri (è da poco uscito un progetto dedicato a Sergio Bardotti in cui troviamo anche Maria Pia De Vito), il cd è accompagnato da un libretto (l’introduzione è di Pasquale Scialò), le canzoni completate da dipinti di Beppe Stasi, in una multidisciplinarietà, in una sinestesia rigidamente analogica, orgogliosamente desueta, sorprendentemente originale rispetto a simili tentativi prigionieri di un’oleografia che mai sarebbe stata gradita al maestro che (ri)conosceva il primato di Sergio Bruni e di «Uocchie c’arraggiunate».