Premio del Messaggero, il racconto di Nisini: «Quando a 12 anni scrissi il primo romanzo per sconfiggere un bullo...»

Il premio del Messaggero
Il premio del Messaggero
di Federica Lupino
Domenica 3 Gennaio 2021, 06:25 - Ultimo agg. 4 Gennaio, 14:37
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Premio del Messaggero, Giorgio Nisini, scrittore, saggista e docente universitario, racconta come da “adolescente insieme irrequieto e tranquillo “ si è avvicinato alla scrittura proprio “grazie” a un bullo di provincia che ha sconfitto nel suo primo romanzo da dodicenne. Un universo su cui il concorso “Cosa è importante per me” chiede agli adolescenti di interrogarsi perché la parola scritta è e resta un’arma catartica ineguagliabile.

«Molti ricorderanno lo sgraziato e prepotente Biff Tannen di Ritorno al futuro, il bullo di Hill Valley che in uno tra i più celebri cult movie degli anni Ottanta perseguita il padre di Marty McFly. Biff gira sempre per la città con la sua sgangherata gang di scagnozzi. È arrogante, gradasso, sbruffone, ma il ritratto che ne viene fuori è quello di un ragazzaccio un po’ stupido e sgraziato che finisce immancabilmente, in tutte le pellicole della trilogia, sommerso da un carico di letame. Biff è il prototipo del bullo di provincia senza arte né parte; non è il primo né l’ultimo di una lunghissima serie di bulli che da sempre affollano il cinema e la letteratura – i film made in Hollywood ne sono pieni, lo schema dello studente un po’ timido ma pieno di talento che si scontra col leader belloccio è un vero e proprio topos che ricorre ovunque: dal biondo Johnny di Karate Kid al sadico Fred di La vita è un sogno, fino alle versioni al femminile come la perfida Regina George di Mean Girls. Eppure questo schema, variante del più ampio schema che contrappone da sempre bene e male, buoni e cattivi, non è mera astrazione: non sono le storie a essere piene di bulli, ma la realtà.

«Quando Zemeckis girava ‘Ritorno al futuro’ io ero un ragazzino che trascorreva gran parte del proprio tempo libero per le strade di quartiere.

Ero un adolescente insieme irrequieto e tranquillo, una fusione tra il giovane sognatore della Storia infinita e uno dei ‘Ragazzi della via Pál’. Per quelle strade non ero solo: il quartiere era popolato da centinaia di miei coetanei che ogni pomeriggio scendevano nei cortili come orde barbariche. Tra loro c’era anche un bulletto che ci tormentava senza pietà. Un giorno decisi di scrivere un romanzo per vendicarmi di lui, conservo ancora i fogli battuti d’inchiostro della vecchia Olivetti di mio padre. Era un romanzo giallo, il bulletto interpretava la vittima: non ero stato capace di contrastarlo nella realtà, lo avevo “ucciso” con la fantasia.

«C’è sempre un bullo dentro di noi, così come c’è un debole dentro ogni bullo: la vita è molto più complessa degli schemi. Eppure Willy Monteiro Duarte, Emanuele Morganti e tanti altri ragazzi che hanno perso la vita per colpa di bulli molto più criminali di quelli dei film, non hanno fatto in tempo a mettere a frutto i propri talenti. Io sono stato più fortunato: quel romanzo scritto a dodici anni mi ha posto di fronte all’imponente forza della narrazione, quella di creare mondi in cui tutto è possibile, in cui il carnefice non è più carnefice, in cui il perseguitato diventa giustiziere. Alla fine è andata così: grazie a un bullo ho scoperto la mia passione per la scrittura».

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