Benevento, al «Rummo» ora scatta l’allarme chirurghi: organico al lumicino

Nei prossimi cinque anni previsti almeno dieci pensionamenti

Medici al pronto soccorso del Rummo
Medici al pronto soccorso del Rummo
di Luella De Ciampis
Sabato 18 Maggio 2024, 00:00 - Ultimo agg. 08:24
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Alla carenza di anestesisti e di medici dell'emergenza sta seguendo a ruota quella dei chirurghi, perché i fondi destinati alla Sanità pubblica non sono sufficienti a incentivare i professionisti a rimanere nelle strutture pubbliche. Al «Rummo», l'organico di Chirurgia è già al lumicino e si assottiglierà ancora di più nell'arco di qualche anno per effetto dei pensionamenti. Gli specialisti di Chirurgia d'urgenza sono sei, più due specializzandi che hanno necessità del tutor, cui si aggiunge un solo chirurgo al presidio ospedaliero di Sant'Agata de' Goti perché gli altri due sono in fase di pensionamento.

Dei sei medici di Chirurgia d'urgenza, tre sono alle soglie della pensione. Altri sei chirurghi prestano servizio in Chirurgia generale, cinque in Chirurgia vascolare, sei in Neurochirurgia e nel resto dei reparti sono presenti in media circa 15 chirurghi di branca, per un totale di 40 unità. Considerato che l'attività chirurgica in Chirurgia d'urgenza deve essere garantita h24 e che, nei prossimi cinque anni, ci saranno almeno una decina di pensionamenti, l'azienda ospedaliera sarà destinata a entrare ulteriormente in affanno, come tutte le altre strutture nazionali.

Intanto, mentre la fondazione Gimbe traccia un bilancio delle risorse destinate al comparto Sanità, l'organizzazione Cimo si sofferma sulle cause della fuga e sulle possibili soluzioni da adottare. Attualmente, l'azienda ospedaliera può ancora contare sulla vecchia guardia dei chirurghi che prestano servizio nella struttura. Secondo i dati riportati da Gimbe, il fondo destinato al Servizio sanitario nazionale sarà incrementato di 3 miliardi nel 2024, di 4 nel 2025 e di 4,2 nel 2025 per un totale di 11,2 miliardi di euro che, aggiunti alle somme già stanziate arrivano a 135,6 miliardi alla fine del triennio ma, nonostante l'incremento sia considerevole, bisogna tener conto che oltre l'80% dei fondi è destinato al doveroso rinnovo dei contratti di lavoro del personale dipendente e convenzionato.

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«La chirurgia italiana è in codice rosso - afferma Guido Quici, presidente nazionale Cimo Fesmed - e la questione va affrontata con urgenza e senza demagogia. La fuga dagli ospedali, la crisi vocazionale verso la chirurgia e il blocco delle assunzioni hanno portato negli ultimi venti anni a un vero e proprio salto generazionale per cui molti colleghi rinunciano a iscriversi alle scuole di specializzazione nell'area chirurgica e questo creerà notevoli problemi alla chirurgia, che non risparmieranno neppure i piccoli ospedali come il nostro».

Le cause delle attuali carenze affondano le radici nel passato e nella totale mancanza di programmazione.

«La carenza di personale - continua Quici -, le retribuzioni particolarmente basse rispetto all'esposizione da un punto di vista professionale, la mancata riforma sulla responsabilità professionale che porta a un elevatissimo contenzioso che costringe i medici ad adottare la famigerata “medicina difensiva” che allo Stato costa oltre 10 milioni di euro, il blocco del tetto di spesa sul personale che dura da oltre 20 anni, sono le cause di un costante sfinimento dei professionisti». Per i chirurghi, inoltre, esistono altri aspetti di fondamentale importanza che influiscono sulla scelta di non intraprendere la professione, «perché - conclude - hanno necessità di essere formati e la proposta dell'associazione dei chirurghi ospedalieri di dare vita al distretto formativo e all'ospedale di insegnamento è una valida soluzione da far seguire all’attività didattica fornita dalle università, per consentire ai giovani medici di completare quella casistica chirurgica che difficilmente riescono a perfezionare in facoltà».

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