Fatta questa premessa, lo studio Bankitalia si concentra sull’ipotesi in cui non si arrivasse ad un accordo di libero scambio tra l’Ue ed il Regno Unito e il rapporto commerciale tra le due parti venisse regolato dalle norme dell’Organizzazione mondiale per il commercio (Wto). In questo caso Londra potrebbe applicare ai Paesi Ue dei dazi uguali a quelli che attualmente l’Unione applica alle importazioni dai paesi del Wto con i quali non sussiste un accordo preferenziale sulla base della clausola della ‘nazione più favorità (Mfn) (Il principio della Mfn impone un divieto di discriminazione, per cui ogni Stato si impegna ad accordare ad altri lo stesso trattamento concesso a tutti i Paesi con cui non esistono specifici accordi commerciali). Tra l’altro, l’ipotesi che almeno all’inizio il Regno Unito applichi le tariffe Ue è plausibile, dal momento che l’adozione di un nuovo schema tariffario in ambito Wto prevede un processo alquanto lento. In questo caso Londra applicherebbe ai Paesi Ue dazi sulla base della clausola della ‘nazione più favorità (Mfn), uguali a quelli che attualmente l’Unione applica alle importazioni dai 27 (la Mfn impone un divieto di discriminazione, per cui ogni Stato si impegna ad accordare ad altri lo stesso trattamento concesso a tutti i Paesi con cui non esistono specifici accordi commerciali bilaterali).
Tra l’altro, l’ipotesi che almeno all’inizio il Regno Unito applichi le tariffe Ue è plausibile, dal momento che l’adozione di un nuovo schema tariffario in ambito Wto prevede un processo alquanto lento. Per quanto riguarda l’Italia, lo scenario ipotizzato nello studio della Banca d’Italia parte dalla considerazione che i rapporti commerciali tra Londra e Roma «sono meno intensi di quelli degli altri principali Paesi dell’area euro», con un saldo commerciale attivo del nostro Paese pari, nel 2015, a 11,9 miliardi di euro. Pertanto, secondo le stime di Via Nazionale, «i beni esportati dall’Italia verso il mercato britannico sarebbero soggetti in media a dazi del 5%, una percentuale mediamente più bassa di quella stimata per l’Ue a 27. In dettaglio, l’industria automobilistica italiana, un settore potenzialmente caratterizzato da un elevato livello di dazi, conta per l’11,6% delle esportazioni italiane verso il Regno Unito, rispetto al 32,6% di quella tedesca, al 31,9% di quella spagnola o al 25,9% di quella belga.
La relativa specializzazione più debole in questo settore è compensata, però, per l’Italia da una maggiore incidenza dei settori tradizionali, come abbigliamento, tessile e calzaturiero (20,3% delle esportazioni), che sono caratterizzati da un livello di tariffe alto, mentre sono più basse le barriere tariffarie che riguardano la meccanica (20,8%).
In totale, dunque, il costo delle nuove tariffe sarebbe per l’Italia dello 0,5% del valore aggiunto manifatturiero, una cifra significativamente più bassa rispetto ai costi per i principali Paesi manifatturieri dell’Ue, come Germania, Francia e Spagna). La conclusione dell’analisi è che «la posta in gioco nei negoziati su un nuovo regime commerciale con il Regno Unito non è omogenea tra i Paesi membri e potrebbe avere un impatto sulla definizione della posizione complessiva dell’Unione, cui ogni Stato contribuisce allo stesso modo».