Castellammare, il killer del consigliere comunale si laurea con 110 e lode

Catello Romano in carcere per l'omicidio di Gino Tommasino: tesi sulla “Fascinazione criminale”

Catello Romano
Catello Romano
di Dario Sautto
Mercoledì 4 Ottobre 2023, 23:30 - Ultimo agg. 6 Ottobre, 13:05
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A 18 anni girava armato di pistola e con la tessera del Partito Democratico in tasca, era uno dei sicari al soldo del clan D’Alessandro e fece parte del commando che ammazzò un consigliere comunale. Ieri pomeriggio si è laureato in carcere con 110 e lode, ottenendo anche la menzione accademica, esponendo le sue conclusioni con una tesi in parte autobiografica in Sociologia dal titolo «Fascinazione criminale», discussa alla presenza di autorità e dell’Imam che lo sta accompagnando nel suo nuovo percorso religioso.

Catello Romano oggi ha 32 anni ed è detenuto nel carcere di Catanzaro. In una cella dovrà trascorrere almeno un’altra decina di anni, proprio per la condanna definitiva per l’omicidio di Gino Tommasino, il consigliere comunale del Pd ammazzato il 3 febbraio 2009 lungo il centralissimo Viale Europa di Castellammare di Stabia. Erano le 15:30, quando il commando di killer guidato da Renato Cavaliere entrò in azione, sparando una raffica di colpi contro il politico stabiese. Cavaliere, insieme a Salvatore Belviso e Raffaele Polito, nel frattempo sono diventati collaboratori di giustizia e hanno svelato (quasi) tutto su quell’efferato delitto di camorra, lasciando all’Antimafia una serie di interrogativi su movente e mandanti, ma lasciando intendere che si trattò quasi di un regolamento interno al clan D’Alessandro. Tommasino, infatti, conosceva alcuni elementi di spicco della camorra stabiese, con i quali – forse – aveva stretto patti, non mantenendo le promesse. 

Una tesi che, ad oggi, non è mai stata dimostrata da alcun processo e probabilmente i mandanti di quel delitto politico-mafioso sono ancora liberi.

Catello Romano, invece, fu il primo a decidere di collaborare: appena arrestato, tentennò per alcuni giorni, poi si diede alla fuga dalla località protetta, beffando chi lo scortava. Una volta catturato, decise di ritrattare ciò che aveva dichiarato, rendendo inutilizzabili le sue confessioni, ed oggi di quel commando è l’unico che non si è pentito. Sta scontando un cumulo di pene di una ventina d’anni, è in carcere da fine 2009 e, dopo sei mesi trascorsi al 41-bis, è sottoposto ad un regime di sicurezza meno afflittivo. In carcere si è prima avvicinato al Buddhismo, poi si è convertito all’Islam. Nel frattempo ha deciso di studiare sociologia e di approfondire tematiche filosofiche. 

Un percorso di studi che l’ha portato, ieri pomeriggio alle 15, a discutere la sua tesi autobiografica, in cui ha ripercorso una serie di aspetti sociologici legati alla rieducazione della pena. Ad assistere alla discussione è stata autorizzata anche sua mamma, che ha raccontato la sua emozione e la sua commozione per il traguardo raggiunto dall’ex giovane killer di camorra. Presenti anche le autorià di zona e l’imam della moschea di Milano Yahya Pallavicini, che ha seguito il percorso di conversione all’Islam di Romano. A seguire tutto l’iter di studio di Catello Romano è stato anche l’avvocato Francesco Schettino, suo difensore di fiducia: «La funzione rieducativa della pena raggiunge in vicende come quella che riguarda Catello Romano il suo risultato migliore. La progressiva risocializzazione del soggetto detenuto che si attua anche e soprattutto attraverso la cultura e lo studio è motivo di orgoglio per tutti coloro – giudici, avvocati, dirigenza penitenziaria – che hanno vissuto in prima linea un iter processuale ed umano che, da esperimento intramurario, è divenuto concreta e fattiva esperienza di vita: di una vita migliore». Una vita migliore che, al momento, da detenuto modello proseguirà ancora in carcere per Catello Romano, il più giovane di quel commando di killer che seminò sangue e terrore per le strade di Castellammare a cavallo tra il 2008 e il 2009. 

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