Viaggio nel cuore della città fragile
tra crepe, topi e paura

Viaggio nel cuore della città fragile tra crepe, topi e paura
di Paolo Barbuto
Sabato 27 Agosto 2016, 16:09 - Ultimo agg. 19:45
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Il termometro dell’auto lasciata all’autorimessa dell’Anticaglia segna 35 gradi; il fiume di turisti è magma bollente, soprattutto a San Gregorio Armeno dove c’è la stessa ressa di Natale però l’odore del sudore è decisamente più intenso che a Natale. Alzi gli occhi e scopri degrado, crepe, cornicioni caduti e cornicioni ancora in bilico, tubi innocenti, finestre murate, balconcini spaccati. Eccolo il centro storico tutelato dall’Unesco, quello in cui, secondo i rilevamenti ufficiali, il settanta per cento degli edifici è in cattivo stato di conservazione.

Abbiamo deciso di andare a vedere come si vive in un palazzo «pericoloso», cosa succede dietro i portoni antichi dei fabbricati costruiti nel ‘700 o nell’800, per capire se è vero quel che dicono i numeri, se c’è davvero da aver paura. Vi diciamo subito che i numeri, anche se sono freddi, non sbagliano: siamo stati in luoghi dai quali avevamo solo voglia di scappare. E invece lì dentro ci sono nostri concittadini che trascorrono tutta la vita e che alla sera (ci ha spiegato Lucia, settant’anni tutti trascorsi ai Quartieri) pregano: «Gesù abbraccia tu questo palazzo e mantienilo in piedi anche stanotte». Amen.

A via Santa Caterina Da Siena, Quartieri Spagnoli, Salvatore racconta che i tubi innocenti innalzati nel 1980 sono stati smontati dalla gente del palazzo, così come i vetrini piazzati per verificare nuovi eventuali cedimenti della struttura: «Dopo il terremoto dissero che questo palazzo era pericolante, misero le impalcature e se ne andarono. Non c’è stato mai nessun lavoro. Così pian piano la gente si è organizzata. I primi tubi vennero rimossi perché morì una persona e non c’era lo spazio per far passare la bara». Poi è stata una vera escalation, dettata esclusivamente dagli affari: «Le case, nel palazzo ingabbiato, non si vendevano. E pure quei vetrini erano un brutto segnale. Così un giorno c’è stata la decisione. Via tutto. E le impalcature sono sparite. Dite che il palazzo era pericolante? A noi non sembra, non abbiamo paura».

Il terremoto, quel giorno di novembre del 1980 la signora Giovanna di Vico Tarallari non se lo scorda. Non può dimenticarlo perché il suo basso da 36 anni è nascosto sotto una montagna di tubi innocenti che le tolgono l’aria e gli spazi: «Mio marito è morto due mesi fa. Diceva: mo’ vedi che ci vengono a liberare. E invece non ci liberano. Io quando fa caldo prendo una sedia e vado in fondo al vicolo per prendere un poco di aria perché le finestre non le posso aprire da 36 anni: solo la porta è agibile».

A centocinquanta metri dal Corso Umberto, nel cuore di Forcella, attraversi una selva di impalcature e scopri una tavola imbandita esattamente ai piedi di un palazzo abbandonato che perde calcinacci e vomita topi grossi quanto gatti: «Eccolo, eccone uno, lo vedete?». E come si fa a non vederlo? Benvenuti in Vico Croce a Sant’Agostino.

Al tavolo donne e bimbi, sopra le loro teste il pericolo sotto forma di crollo imminente: «Vabbè, qualche settimana fa abbiamo sentito un boato più grosso ed è venuta fuori una nuvola di polvere che ci ha fatto impressionare. Dicono che ha ceduto di schianto un solaio». E la domanda non può essere repressa: Ma come, crolla tutto e voi piazzate il tavolo da pranzo qui sotto? «Vedete, voi non state qua e non potete capire - Angela è la padrona di casa e parla come in un film di Luciano De Crescenzo - noi teniamo il basso là di fronte. Una sola stanza per tutti quanti. Quando fa caldo non si può stare. E noi che dobbiamo fare? Veniamo a mangiare fuori...». Sì, però «fuori» ci sono topi giganti e crolli imminenti, «No, ma noi stiamo attenti. Mangiamo e guardiamo in alto se cade qualcosa».
In questo caso, però, non c’è filosofia napoletana che tenga. Quel palazzo che sta crollando a Vico Croce a Sant’Agostino va immediatamente verificato, anche perché rischia di travolgere almeno altri due palazzi e le decine di bambini che giocano in quella stradetta di Forcella. Ecco, questo è un vero, accorato e immediato appello: le autorità vadano a controllare perché lì la tragedia è dietro l’angolo.

Dietro un angolo dei Tribunali, su via Girolamini, due turiste guardano con terrore un palazzo disabitato e sventrato dal quale scivola giù una nuvoletta di polvere; un po’ più su, all’Anticaglia, invece la situazione è diversa perché il pericolo viene da case che sono «vive» e abitate: sono quelle che si trovano al di sopra degli archi ricavati dal teatro romano. I segnali del pericolo sono evidenti: cedimenti nella struttura, crepe che s’innalzano per quattro metri. Al balcone di una delle stanze ricavate tra le colonne che si stanno sfaldando, compare un uomo di mezz’età che fuma in canottiera: scusi, ma lei non ha paura a stare lì dentro? «Vabbè, ma queste pietre stanno in piedi da mille anni, vuoi vedere che crollano proprio adesso?».

Nuova tappa ai Quartieri, nuovo incontro davanti a un palazzo malridotto. Anche stavolta c’è una mamma, Angela, ma questa è davvero preoccupata: «Non abbiamo alternative, sappiamo che è pericoloso ma non possiamo permetterci nient’altro che due stanze in un palazzo pieno di crepe. Di notte certe volte sentiamo scricchiolare e chiedo a mio marito. Lui dice che non mi devo preoccupare. Però me ne accorgo che subito dopo va a fare un giro per tutta la casa a controllare se so sono aperte altre crepe nei muri».
 

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