Napoli, le «sirene ciacione» di Trallalà a casa di Parthenope

In esposizione a San Giovanni Maggiore dove sarebbe seppellita la sirena fondatrice di Napoli

Le sirene ciacione di Trallalà in mostra
Le sirene ciacione di Trallalà in mostra
di Giovanni Chianelli
Lunedì 22 Aprile 2024, 23:45 - Ultimo agg. 24 Aprile, 10:02
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La sirena ciaciona fa visita alla sua antenata. Le figure abbondanti e accoglienti nate dall’estro di Trallalà si confrontano con Parthenope nel luogo in cui secondo la leggenda è sepolto il mito fondativo di Napoli: è la mostra «Memento vivi», da domani – vernissage alle 18.30 - al 10 giugno 2024 nell’ipogeo della basilica di San Giovanni Maggiore. È la seconda personale dello street artist napoletano, la prima in un luogo pubblico dopo che le sue sirene proprio in pubblico, ovvero sui muri della città, sono diventate celebri.

Quattro diverse tipologie di «ciacione» declinate in decine di opere su legno, carta da imballaggio e tessuti. Al centro quelle stampate su stendardi, bandiere e paliotti (le tovaglie degli altari) prodotti dalla ditta di arredi sacri Serpone: «Sono particolarmente felice di questo supporto, si lega al fascino che provo da piccolo per l’iconografia delle processioni, il suono delle bande e i vessilli delle confraternite», spiega Trallallà (che vuole farsi chiamare solo col nome d’arte).

Il titolo della mostra è «un invito a godere della vita, un po’ come raccomanda il motto originario, “memento mori”, che ricorda a tutti che siamo solo di passaggio. Tecnicamente avrei dovuto scrivere “memento vivere”, ma così suona meglio, e poi mi piace l’errore, un po’ come la mia arte nata non da una tecnica professionale ma con criteri punk», dice.

Diverse sirene sono avvolte dalle fiamme: «Se l’incitazione a bearsi dell’esistenza è il titolo, lo snodo concettuale e iconografico è il purgatorio.

Interpretazione napoletana e sfumata di un aldilà troppo manicheo, diviso rigidamente in paradiso e inferno. Invece la dimensione di mezzo è quella di un colloquio che continua tra vivi e trapassati, all’insegna della transazione piccola: io prego per te e tu mi fai guarire i figli. Napoli poi è l’unica città in cui è stato creato un presepe dell’oltrevita, le anime pezzentelle in terracotta che ho sempre amato».

Il confronto tra le sue sirene post moderne e Partenope è lo spunto principale: «La sirena, presente in ogni cultura, è una figura di confine tra l’animale e l’uomo e perciò accompagnava le anime sul limite tra vita e morte. E lo fa cantando. La mia “ciaciona” è materna, morbida, fiera della sua linea poco sorvegliata e conscia della sua sensualità sbagliata, allo stesso tempo, come ogni sirena, è sfidante, provocatoria, portatrice di fatalità».

Scrive la storica dell’arte Olga Scotto di Vettimo, curatrice dei testi della mostra, citando Matilde Serao: «Parthenope non è morta. E a credere a questa affermazione è certamente Trallallà che, rievocando la sirena per antonomasia trasforma il mito fondativo in leggenda e la leggenda in una desiderabile icona pop».

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Le «ciacione» hanno da tempo valicato i muri della città in cui sono nate, Trallallà viene contattato continuamente per mostre collettive all’estero e fa scambi con altri creativi: «La chiamiamo “mail art”, io invio una mia figura tramite file e, ad esempio, uno street artist brasiliano la attacca sui muri della sua città, io faccio lo stesso con le sue. Un nuovo modo di promuovere la creatività». Perché piace così tanto la sua creatura?

«Perché non si vergogna dei suoi limiti. Se la tatuano le ragazze che non stanno bene col loro corpo, mi dicono che con la mia ciaciona addosso lo trovano più bello».

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