I segreti di San Domenico all'ombra del Nilo tra alchimia e libri proibiti

Viaggio tra i misteri del Rinascimento tra filosofi eretici, testi esoterici e strane lapidi

Piazza San Domenico Maggiore
Piazza San Domenico Maggiore
di Vittorio Del Tufo
Domenica 24 Marzo 2024, 10:03
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«Ti par che farebbe male uno che volesse metter sotto sopra il mondo capovolto?
 (Giordano Bruno)

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Un giallo in piena regola. A metà strada tra filosofia, magia e alchimia. E che appassiona, da tempo, generazioni di studiosi. Esiste un legame tra l'inquieto Rinascimento napoletano, le Accademie segrete di ispirazione egiziana che proliferarono a Napoli nel 500 e il misterioso ordine dei Rosacroce? Quale filo lega la leggendaria setta fondata da Christian Rosenkreutz al pensiero di Giordano Bruno, Tommaso Campanella e Giovanbattista della Porta? E quale segreto nascondeva la biblioteca di San Domenico Maggiore dove Giordano Bruno, da giovane novizio, era solito soffermarsi?

Nella precedente puntata de L'Uovo di Virgilio abbiamo raccontato come, ventitré anni prima della comparsa a Parigi dei manifesti rosacrociani («Noi siamo gli invisibili») il grande filosofo nolano moriva a Roma, bruciato vivo per le sue idee, giudicate eretiche dal tribunale dell'Inquisizione dello Stato Pontificio. I contatti tra Giordano Bruno e il nucleo tedesco della confraternita dei Rosacroce, in passato solo ipotizzati, sono al centro degli studi di Guido Del Giudice, che a Bruno e al Rinascimento "segreto" napoletano ha dedicato numerose ricerche, illuminando alcune zone d'ombra e aspetti poco conosciuti della vita del filosofo. Del Giudice, fondatore nel 2005 della «Giordano Bruno Society», è convinto che un trait d'union tra il filosofo nolano e i Rosacroce sia rappresentato dalla figura del teologo alchimista svizzero Raphael Egli, il quale invitò Bruno ad Elgg, nei pressi di Zurigo, nel castello del suo mecenate Johann Heinrich Hainzel, ufficialmente per tenervi un ciclo di lezioni di filosofia.

La passione per l'alchimia e per il pensiero eretico causò a Rafael Egli non pochi inconvenienti, al punto che fu costretto a celare la sua copiosa produzione di testi alchemici (e apocalittici) dietro numerosi pseudonimi. Ma Raphael Egli fu anche l'autore di almeno uno dei manifesti rosacrociani. «Probabilmente nel 1591 - spiega Del Giudice, autore del romanzo «Rubedo. Giordano Bruno e il segreto dei Rosacroce» - non solo la confraternita era già attiva in Germania, ma si trovava in una fase di reclutamento e Raphael Egli era un ideale candidato a diventarne un leader. È certo che Egli convogliò successivamente parecchi dei concetti assimilati durante la sua frequentazione bruniana nella dottrina dei Rosacroce, di cui in Germania fu un sicuro ispiratore». 

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Anche la napoletanissima Accademia dei segreti di Giovanbattista Della Porta avrebbe fatto da apripista alle associazioni rosacrociane.

Era poco più di un ragazzo, Giovanbattista, quando cominciò lavorare al suo capolavoro, la Magiae Naturalis. E ne aveva solo 25 quando la sua Accademia già riuniva l'élite intellettuale di fine secolo attirando l'attenzione, non certo benevola, del Tribunale dell'Inquisizione. Capitava spesso, agli spiriti più inquieti di quegli anni turbolenti. Alchimista, filosofo e scienziato, il versatile genio - nato a Vico Equense nel 1535 - anticipò di due secoli il principe Raimondo di Sangro fondendo scienza, filosofia e alchimia in una visione del cosmo come complesso di forze vitali governato da un'anima del mondo: un Dio-mago. Per far parte della sua Accademia, era necessario dimostrare di aver effettuato una nuova scoperta scientifica, sconosciuta al resto dell'umanità, nell'ambito delle Scienze naturali. E Della Porta di scoperte ne sapeva qualcosa, dal momento che contese a Galilei l'invenzione del telescopio. L'esoterica Accademia dei Segreti, lo abbiamo visto nella precedente puntata, si riuniva nel palazzo di famiglia dei Della Porta, in piazzetta Due Porte all'Arenella. Ed è lì che, duecento anni prima del principe di Sansevero, gli accademici investiganti si riunivano non solo per discutere di scienza e filosofia ma anche, probabilmente, per effettuare esperimenti di alchimia. Attorno a Della Porta ruotarono personaggi del calibro di Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Giovanbattista Basile. Un cenacolo di intellettuali che si abbeverarono dell'atmosfera magica della città, ieri come oggi ricca di stimoli e di fermenti culturali.

All'epoca Bruno era da poco entrato come novizio nel convento di San Domenico e più volte è stata avanzata la suggestiva ipotesi di un incontro con Della Porta. Oltre all'interesse per argomenti come la fisiognomica e la magia naturale, li accomunava l'ammirazione per la tradizione egizia, ben radicata a Napoli e risalente alle colonie di mercanti alessandrini, stabilitisi nel corpo di Napoli, proprio nella zona in cui Bruno visse gli anni della sua formazione e dove ancora oggi domina la statua del dio Nilo. Bruno considerava la religione egiziana come «buona e vera», prima che venisse distrutta dal Cristianesimo; pensava che un ritorno all'ermetismo magico egiziano avrebbe costituito un'alternativa all'intolleranza religiosa.

Il filoso fonolano ha sicuramente conosciuto il mondo filosofico-esoterico che gravitava intorno alle Accademie; con certezza ha letto nella fornitissima biblioteca di San Domenico Maggiore testi di alchimia e ha incrociato il mondo delle società segrete che, a Napoli, facevano parte di una tradizione millenaria. Ancora oggi sono in molti a pensare che se il numero di eretici transitati per San Domenico Maggiore fu così alto, se la fascinazione esercitata da quelle mura fu così forte, questo si deve proprio alla straordinaria ricchezza della biblioteca del convento. L'antica Libraria, già nel Cinquecento, possedeva i manoscritti di Giovanni Pontano, le Epistole di Seneca ma anche numerosi volumi che dopo il Cinquecento sarebbero finiti all'Indice. Tra questi libri ve n'erano numerosi che indagavano sui misteri dell'alchimia: in particolare i testi di Tommaso d'Aquino, che era stato uno dei riferimenti spirituali di Bruno. Va ricordato che Tommaso d'Aquino si interessò in diverse occasioni (e attraverso opere importanti) dell'arte alchemica, che riteneva non solo possibile, ma anche lecita. Una leggenda medievale voleva che san Domenico avesse scoperto il meraviglioso segreto della pietra filosofale e lo avesse affidato ad Alberto Magno, il quale lo trasmise a Tommaso d'Aquino. In pieno Medioevo, nel 1317, Papa Giovanni XXII aveva condannato l'alchimia con la bolla Spondent Pariter, ma i testi alchemici «non erano mai stati considerati eretici dall'ordine domenicano, e ai tempi di Giordano Bruno il Concilio di Trento (1545-1563) aveva dichiarato lecita l'alchimia purché realizzata senza frode» (vedi Salvatore Forte, Il Rinascimento napoletano e la tradizione egizia segreta). 

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Quando, nel 1562, fu demolito l'altare maggiore di San Domenico, per trasferire alle sue spalle il coro che si trovava al centro della chiesa, sotto di esso fu ritrovata una lapide di marmo con un'enigmatica iscrizione in latino:

NIMBIFER ILLE DEO MICHI SACRVM INVIDIT OSIRIM
(Il Tempestoso Invidiò al Divino Seme il Sacro Osiride)

Ancora oggi questa misteriosa lastra di marmo è conosciuta come Lapide di Osiride e legherebbe l'antico convento di San Domenico Maggiore con i culti egizi presenti in quella zona della città. La lapide, oggi murata sul campanile di fianco al portone del convento, ha dato origine a numerose congetture tra gli appassionati e gli esperti di scienze ermetiche, secondo i quali proverebbe addirittura l'esistenza, nell'area oggi occupata dalla basilica di San Domenico, di un preesistente tempio dedicato a Osiride.

Dall'alchimia ai filosofi «maghi», passando per le correnti iniziatiche di ispirazione egizia, quanti misteri sono ancora nascosti tra le ombre della basilica di San Domenico Maggiore?

(Fine)

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