Curarono uno dei killer di Pittoni, assolti dalla Cassazione due medici

L'arresto di Fabio Prete
L'arresto di Fabio Prete
di Dario Sautto
Lunedì 21 Settembre 2015, 22:36 - Ultimo agg. 22 Settembre, 09:27
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PAGANI - Curarono uno dei banditi che uccisero in un conflitto a fuoco il carabiniere Marco Pittoni durante una rapina all’ufficio postale di Pagani. Adesso per i due medici arriva l’assoluzione dall’accusa di favoreggiamento perché il diritto alla cura di un ferito supera il diritto alla giustizia. Questo è in sintesi il verdetto emesso dalla sesta sezione della Corte di Cassazione che ha annullato la sentenza senza rinvio «perché il fatto non sussiste», assolvendo il medico Luigi Acanfora e il chirurgo Mario Trerè. I due erano stati condannati a 6 mesi di reclusione (pena sospesa) in primo grado dal tribunale di Torre Annunziata, sentenza confermata anche dalla Corte d’Appello di Napoli.

Era il 6 giugno 2008, quando a Pagani rimase ucciso Marco Pittoni, comandante della locale tenenza dei carabinieri coinvolto in un conflitto a fuoco con i banditi che avevano assaltato l’ufficio postale. Uno dei rapinatori – l’allora 20enne Fabio Prete – rimase a sua volta ferito da un proiettile al braccio per un colpo esploso da un militare. In pochi giorni, le indagini riuscirono a risalire ai responsabili della rapina finita nel sangue, arrestando tutti i componenti della banda. Tra questi figurava proprio Prete, che era ferito, ma già medicato. Il giorno dopo l’arresto, alla caserma dei carabinieri di Vico Equense si presentò Trerè, accompagnato dagli avvocati Giuseppe Ferraro e Massimo Sartore, il quale raccontò come si erano svolti i fatti. Impegnato in consiglio comunale (allora era consigliere a Boscoreale), il medico non sapeva nulla della rapina e spiegò di essere stato chiamato da un collega per un intervento urgente. Si recò nell’abitazione di Prete e solo successivamente scoprì che si trattava di uno dei rapinatori di Pagani, dunque decise di collaborare con gli inquirenti e di raccontare come erano andati i fatti.

Se in primo e secondo grado era arrivata una condanna, adesso gli «ermellini» capovolgono il verdetto. Per la Cassazione, «nell’intersecarsi di esigenze tutte costituzionalmente correlate (il diritto alla salute per un verso, cui si contrappone l’interesse pubblico sotteso a un puntuale esercizio dell’attività di amministrazione della giustizia), i valori legati alla integrità fisica rendono necessariamente recessivi quelli contrapposti e finiscono per imporre comunque l’intervento sanitario».








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