Si chiude con una raffica di prescrizioni l’inchiesta sul presunto accordo risalente al 2013, tra le confraternite di Montecorvino Rovella e le agenzie di pompe funebri per truffare i familiari dei defunti. La sentenza, che cancella con un colpo di spugna il procedimento nato da una complessa indagine portata avanti dal pubblico ministero Marco Colamonici, è arrivata nel pomeriggio di ieri quando i giudici della seconda sezione penale (presidente Paolo Valiante, a latere Lamberti e De Lucia), hanno sciolto la riserva dichiarando per tutti gli imputati sentenza di non doversi procedere.
Reati prescritti per i quattro priori rappresentanti di alcune confraternite di Montecorvino: Umberto Sabato, per la congrega del Santissimo Corpo di Cristo e Rosario; Donato Salvato, per il Santissimo Rosario; Carmine Mellone della San Filippo Neri e Vittorio Cerino di Santa Sofia e Santo Rosario.
L’inchiesta, conclusa nel 2015 dal pubblico ministero Colamonici, ruotava intorno ai soldi versati dalle famiglie dei defunti per l’accesso ai loculi. Secondo la Procura gli imputati guadagnavano per ogni nuova sepoltura il pagamento della quota di iscrizione (circa tremila euro) più ulteriori quote periodiche. Associazione a delinquere, vilipendio di cadaveri, violazione di sepolcro, truffa, violenza ed estorsione erano le accuse contestate dalla Procura a carico degli imputati accusati di aver messo in piedi un vero e proprio business che ruotava intorno ai soldi versati dalle famiglie dei defunti per l’accesso ai loculi. Secondo la Procura i rappresentanti delle Confraternite avrebbero indotto i titolari delle agenzie funebri a non chiudere ermeticamente i coperchi delle bare allo scopo di accelerare il processo di decomposizione dei corpi e permettere la riesumazione anticipata di ben cinque anni rispetto al periodo previsto dal regolamento cimiteriale, ossia 15 anni.
Il guadagno per le confraternite era doppio: da un lato la riesumazione e lo spostamento dei resti ossei anticipati ha un costo che le famiglie dei defunti devono pagare alle confraternite; dall’altro lato, avere loculi vuoti vuol dire per le confraternite poter accettare nuovi affiliati che, dietro pagamento, si assicurano così di avere degna sepoltura per sé e per i propri cari. Le confraternite e le agenzie guadagnavano per ogni nuova sepoltura il pagamento della quota di iscrizione (circa tremila euro) più ulteriori quote periodiche. In alcuni casi gli imputati avrebbero anche prospettato ai familiari l’urgenza di liberare il loculo dopo 10 anni (spesso si utilizzava la tecnica di affiggere sulla tomba un avviso) per indurre e costringere gli stessi a rinnovare la concessione pagando altri 2200 euro, nonostante – afferma la Procura – non fossero trascorsi i termini previsti dalla legge e dal regolamento comunale. L’inchiesta è nata dalla denuncia di uno dei titolari delle pompe funebri che si ribellò finendo poi per essere minacciato da uno dei responsabili delle congreghe.