Un paese intero, San Pietro al Tanagro, adotta una neonata figlia di Zohra, una migrante ospite della «Casa di Miriam». La bimba è nata circa dieci giorni fa e in tanti hanno supportato le operatrici della cooperative Iskra (del presidente Umberto Sessa) guidate da Giusy Salerno per provvedere a regalare il corredo alla piccola. Passeggino, «ovetto», pannolini, vestiti e quanto altro poteva essere utile alla nuova famiglia è stato donato e altro ancora è in arrivo. Una storia di amore che nasce da una «tipica», orrenda, storia di brutalità.
Zohra ha circa trent’anni, di origine marocchine, dal 2014, si trasferisce in Libia.
Le operatrici mostrano un aspetto che da tempo non vedeva: quello dell’umanità. «Mi hanno accudito come se fossi stata una loro sorella - racconta mentre le guarda - e ho cominciato a pensare alla nascita della mia bambina». Di lei, dopo alcuni problemi con un medico, se ne occupa il primario Francesco de Laurentiis, che accompagna la donna alla maternità. Nasce la piccola, un batuffolo di tre chili. Stupenda. «Una volta tornata qui in casa - afferma con commozione - sono stata inondata dall’amore di un paese intero. Tanti regali, tanti messaggi di auguri, tante persone che hanno dimostrato affetto per me e soprattutto per la mia bambina». La sua storia è diventata un esempio di accoglienza e integrazione, di amore che batte l’odio, di vita. «Vorrei donare a mia figlia un futuro migliore del mio. Magari restando qui nel Vallo di Diano dove ho scoperto gente eccezionale», si lascia sfuggire mentre carezza la testa della piccola. Poi lancia un messaggio all’Europa. «In Libia ci sono dei crimini e occorre intervenire, gli stranieri vengono trattati come merce, come animali, non c’è pietà e c’è tata violenza. Ho vinto tante persone soffrire, anzi che venivano trattate come se non fossero persone». In pochi mesi Zohra ancora non ha superato i traumi della Libia, la paura del mare, ma lo sta facendo passo dopo passo, aiutata da esperti del settore. «Vorrei raccontare ancora di più e ci riuscirò, ma devo ancora metabolizzare. Spero che la mia testimonianza possa servire a capire meglio quale sia la situazione che affronta ogni migrante che arriva in Europa. La paura di non farcela, il mare che fa tremare. Ma ora sono qui e ho questo affetto che mi fa stare bene, anzi meglio». Un esempio di integrazione. O semplicemente un esempio di umanità, quello che arriva da un paese di un migliaio di anime nel sud della provincia di Salerno.