Incontinenza, ne soffre una donna
su 5 dopo i cinquanta anni

Incontinenza, ne soffre una donna su 5 dopo i cinquanta anni
Sabato 4 Febbraio 2017, 13:08
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Una donna su 5, soprattutto dopo i 45-50 anni, soffre di incontinenza da urgenza, associata al bisogno impellente di correre in bagno al primo stimolo, o dopo uno sforzo, un colpo di tosse, uno starnuto o una risata improvvisa. Qualcosa come oltre 6 milioni di donne. Anche i maschi viaggiano intorno al 12%, circa 3 milioni di uomini. Percentuali che raddoppiano dopo i 70 anni, toccando il 50%. Un problema che è possibile affrontare con cure farmacologiche ed ausili. Ma solo il 40% di chi soffre di incontinenza li utilizza correttamente. È infatti radicata la convinzione che l’unica cura sia il device assorbente mentre non è cosi: terapie riabilitative, mediche o chirurgiche sono in grado di migliorare la qualità di vita del paziente.

Un problema per 10 milioni di italiane e italiani. Il bisogno di correre in bagno dopo una risata, un colpo di tosse o uno starnuto, riguarda buona parte della popolazione. L’incontinenza urinaria colpisce in prevalenza le donne – una su cinque (20%) di norma con età superiore ai 45 anni (parliamo di oltre 6 milioni di donne) – ma in percentuale minore (12%) anche i maschi adulti, con punte del 15% intorno ai 70 anni. Oltre i 75, la percentuale arriva al 50 per entrambi i sessi. L’incontinenza può essere però anche un problema per donne più giovani, dovuto a un ipertono del pavimento pelvico. Nella maggior parte dei casi il problema si può risolvere: con piccoli interventi chirurgici nei contesti più gravi, con metodi ‘soft’ nei casi lievi o moderati, come la terapia riabilitativa o un trattamento farmacologico. Ma i farmaci non convincono, soprattutto le donne: solo il 40%* infatti segue correttamente la cura, mentre la maggior parte la mette nel cassetto per timore di effetti collaterali. La perdita di pipì ha non solo un forte impatto fisico, psicologico e relazionale sulla persona, ma ha anche costi elevati, tutti o in gran parte a carico del paziente


. Diverse centinaia di migliaia di euro spesi ogni anno solo per la fornitura di ausili – assorbenti, cateteri – che rappresentano lo strumento cui si ricorre più facilmente. L’Italia, inoltre, è ancora uno dei pochi Paesi europei a non godere della rimborsabilità di farmaci per questo problema, che oggi costa al Sistema Sanitario Nazionale (SSN) 867€/annui pro capite per i presidi di assorbenza e alla persona oltre 40€ mensili per i farmaci: la gratuità consentirebbe invece un risparmio globale di 136 milioni di euro annui.


Questi numeri sono contenuti in un documento di indirizzo (redatto da un tavolo tecnico appena concluso) ora alla firma del Ministro Beatrice Lorenzin, che ribadisce la priorità di una rete capillare di centri specialistici che garantiscano migliore accesso, offerta e equiparabilità di cure a tutti i cittadini italiani. Se ne è parlato a Matera, al Secondo Masterclass di Uroginecologia, nell’ambito di un ‘social corner’, moderato da Michele Mirabella, tra federazioni di pazienti, società scientifiche e Istituzioni con due obiettivi: la gratuità/rimborsabilità e l’istituzione di una rete di centri di prevenzione, diagnosi e cura dell'incontinenza.

L’IMPATTO SOCIALE

“L’incontinenza urinaria – dichiara Roberto Carone, presidente della Società Italiana di Urologia e Direttore della Struttura complessa di Neuro-Urologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria, Città della Salute e della Scienza di Torino – ha un forte impatto sulla qualità della vita di chi ne soffre, con implicazioni psicologiche e fisiche superiori anche a quelle di altre patologie, come il diabete. Dal punto di vista del paziente l’incontinenza, è un problema serio. Ma lo è anche per il medico, trattandosi di una patologia multifattoriale che richiede un approccio multispecialistico con il coinvolgimento di più figure professionali, dall’urologo, che gioca un ruolo centrale e di primaria importanza, al ginecologo, al fisiatra, all’infermiere e al fisioterapista che devono collaborare per la corretta definizione diagnostica e terapeutica. La terapia può prevedere diversi trattamenti: farmacologici, riabilitativi o chirurgici".


IL PROBLEMA DELLA CURA


L’incontinenza è un problema che si ‘nasconde’ o che si cura poco e male, specie se la terapia è un farmaco. “II fenomeno della non aderenza terapeutica – aggiunge Giuseppe Carrieri, presidente del 2° Masterclass di uroginecologia e Ordinario di Urologia Direttore della Clinica Urologica, Centro Trapianti di Rene dell’Università degli Studi di Foggia – è spiegato dalla convinzione che i device di assorbenza (pannoloni) siano ‘la cura’ dell’incontinenza. Invece esistono trattamenti efficaci e spesso risolutivi sia per le forme gravi, con la chirurgia, sia per le forme medio-lievi con terapia riabilitativa o farmacologica. Quest’ultima poco amata: si stima che solo il 40% delle donne segua il trattamento secondo le modalità e la durata prescritta dal medico, le restanti lo interrompono o non lo iniziano affatto a causa del timore di effetti collaterali, possibili ma di scarsa rilevanza, quali secchezza delle fauci o vaginale e lieve costipazione e reversibili con la sospensione della terapia, e per i costi. L’Italia è uno dei pochi Paesi europei che ancora non rimborsa i farmaci per l’incontinenza".


I PAZIENTI, I COSTI SOCIALI E LA RETE TERRITORIALE


“Si stima che oggi i pazienti con incontinenza urinaria da urgenza siano oltre 678 mila di cui solo 447 mila, seguiti da un medico, possono accedere alla prescrizione della terapia o al percorso per la rimborsabilità dei presidi assorbenti – commenta Giuseppe Pozzi, Presidente della Corte di Giustizia per il diritto alla Salute di Federanziani –. Ad essi ricorrono oltre 320 mila pazienti per i quali il SSN spende circa 2,4€/giorno (867€ anno/paziente) mentre i pazienti in terapia con farmaci sono oltre 126 mila che spendono più di 40€ mensili per un trattamento che ha durata in media 3,5 mesi. Se una fetta di pazienti passasse dai presidi assorbenti all’uso dei farmaci, rimborsati al 100%, il rimborso per i farmaci ammonterebbe a oltre 28 milioni di euro come costo annuo a carico del SSN e quello per i presidi assorbenti passerebbe a oltre 112 milioni di euro, per un totale di più di 141 milioni di euro ed un risparmio superiore a 136 milioni di euro, rispetto alla situazione attuale”. “Ma non è solo alla rimborsabilità che si sta puntando – continua il prof. Carone –. Serve una ‘rete territoriale’ con centri di diagnosi, cura e prevenzione in tutte le Regioni. Obiettivo, quest’ultimo, perseguito da un tavolo tecnico ministeriale che ha appena concluso i lavori con la stesura di un documento di indirizzo sull’incontinenza, che, oltre ad affrontare tematiche quali la fornitura di ausili, l’approccio chirurgico o farmacologico, evidenzia la necessità di istituzionalizzare sul territorio centri in grado di garantire ai cittadini una maggiore omogeneità e accessibilità delle cure e una migliore erogazione delle prestazioni e servizi”. Il documento, ora alla firma del Ministro Beatrice Lorenzin, una volta approvato verrà diffuso a tutte le Istituzioni regionali, ospedaliere, sanitarie preposte. Ad oggi, la rete è una realtà solo in Piemonte, con 40 centri, ma è di prossima realizzazione anche in Basilicata, Sardegna e Veneto.


LE ETÀ E IL GENERE


L’incontinenza non è solo ‘anziana’. “Erroneamente – aggiunge Alessandra Graziottin, direttore del Centro di Ginecologia, Ospedale San Raffale Resnati di Milano e presidente della Fondazione Graziottin per la cura del dolore nella donna Onlus – si pensa che l’incontinenza sia un problema solo dell’età avanzata.
Non è così, perché esiste anche un sottogruppo di incontinenza da urgenza dovuta all’ipertono del pavimento pelvico, che si associa a cambiamenti di abitudini e stili di vita delle donne italiane (e non solo), occorsi negli ultimi 10-20 anni. Ovvero le donne arrivano tardi alla maternità, partoriscono spesso con cesareo, fanno molta attività fisica che va a rafforzare in particolare il muscolo elevatore dell’ano e degli adduttori con indiscusse conseguenze sul tono del muscolo e pavimento pelvico. Sono infatti in aumento le donne che alla visita ginecologica mostrano un ipertono del pavimento pelvico o appena “sottosoglia”, cioè che non dà ancora sintomi vescicali o ai rapporti, oppure che dà segno di sé attraverso il dolore all’inizio della penetrazione e/o la cistite post-coitale. Il mancato riconoscimento dell’ipertono può sfociare in urgenza minzionale ma anche nell’aumentata vulnerabilità del pavimento pelvico al parto con danni, nella fase espulsiva, sia fetali che materni. In presenza di ipertono, occorre dunque che il ginecologo, l’urologo o il proctologo, raccomandino una fisioterapia di riabilitazione del pavimento pelvico con un programma di rilassamento, utile ad aumentare la capacità della donna di ascoltare questo muscolo e di comandarlo correttamente. Ma non solo: l’attenzione al pavimento pelvico va perseguita anche in menopausa, raccomandando sia una riabilitazione pelvica sia l’utilizzo di una pomata galenica al testosterone (propionato oppure di derivazione vegetale) che ha potere trofico, antinfiammatorio e pro-sessuale, aiutando a mantenere bassa l’infiammazione loco-regionale e a stimolare il fibroblasta a ricostruire tessuti connettivi di qualità contribuendo ad aumentare l’efficienza riparativa e ricostruttiva dei tessuti della muscosa e sottomucosa, e dunque la maggiore capacità di continenza anche uretrale. Pertanto è necessario accompagnare la donna in un ‘progetto di salute’ che percorra tutta l’esistenza, impostando un percorso che tenga conto degli stili di vita, delle vulnerabilità familiari, genetiche e contestuali, dei fattori modificabili, come il tono del pavimento pelvico, la qualità del parto, la scelta di terapie ormonali personalizzate, in cui lei sia protagonista e il medico il compagno di viaggio di scelte terapeutiche e di stile di vita condivise e non più solo normative”.

 
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