99 Posse, l'amore al tempo della rivoluzione. E del «Combat reggae»

I 99 Posse
I 99 Posse
di Federico Vacalebre
Lunedì 18 Aprile 2016, 23:51 - Ultimo agg. 23:56
3 Minuti di Lettura
Dopo l'anteprima streaming, su Apple Music, è arrivato anche il primo videoclip, a lanciare «Il Tempo. Le Parole. Il Suono», nuovo album dei 99 Posse, nei negozi venerdì 22. In copertina Zulù, Jrm, Marco Messina e Sacha Ricci sono pupazzetti, pur sempre militanti, che sembrano usciti da un videogame anni Ottanta, griffato da Totto Renna, alias SuperTotto, alfiere della pixel art. Quando il gioco si fa duro i duri ballano, non si accontentano di mostrare i muscoli o le armi, di urlare più forte. E, forse, per un collettivo «contro» questo è il momento in cui il gioco si fa più duro, quello della maturità, del capire come andare avanti dopo l’entusiasmo della reunione. «La difficoltà è giocare a capirsi», dice il pezzo che arruola la voce soul di Andrea D’Alessio.
Titoli come «Combat reggae» (con Mama Marjas, video diretto da Marco Maraniello nei vicoli napoletani completamente in piano sequenza ) e «Vocazione rivoluzionaria» (con Enzo Avitabile) potrebbero far pensare al «solito» disco antagonista, ma la band spiazza e sorprende, fedele a se stessa solo nell’imprevedibilità di un percorso che ora dichiara la propria alterità persino rispetto ai compagni di viaggio - e lotta - di sempre pur di non farsi rinchiudere in uno schema, in un «mercato». Sottraendosi alle etichette, regalandosi divertissement musicali come «Tps» che fa rimare Hendrix con Asterix, abbassando la voce ma senza nascondere la propria rabbia sin dall’incipit di «Ve lassammo cca’» (con Valerio Jovine).
I ritmi sono a tratti meno ossessivi, le melodie sono a tratti più aperte, gli slogan colettivi sono a tratti mascherati dal mal di vivere personale. L’ironia permette di nascondere le delusioni politiche incassate e le bandiere ripiegate, «Va bene» dice che tutto va male in realtà, ma che bisogna partire insieme per cercare di arrivare insieme. Zulù controlla spavaldo le rime, anello di congiuzione generazionale tra i protagonisti storici del neapolitan power e la generazione newpolitana. In «Sento una musica» c’è il «nipotino» Rocco Hunt, «Nun è overo» è un talkin’ dedicato allo «zio» Pino Daniele: «No, nun è overo che tutti t’hanno amato, chisto è ‘o paese addo’ solo chi è morto può ave’ ‘o bene che co’’ll’arte ha dato». La Napoli mille culure è matrigna, invidiosa, non solo «poesia dinta ‘a sta voce di blues e melodramma 'mpastatata ‘e note e piena d’armonia».
«Dedicata» è per chi sta dalla parte giusta delle barricata, di quella che si spera sia la parte giusta: le scarpe non sono rotte come un tempo, eppure bisogna andare, bisognerebbe capire che cosa e come fare, ma intanto è un suono di violini a lenire le ferite. «Dentro i tuoi occhi» è un canzone d’amore per il figlio, per i figli, memori del Che Guevara che raccomandava di non perdere la tenerezza, un elogio dell’istinto paterno che dice molto della storia personale più recente di Luca Persico, come di Jrm.
«Qui» confessa la distanza tra il dire e il fare, elegge il canto e il suono come unico strumento possibile per attraversare quel mare dove non si salva nessuno, dove non è dolce naufragare, dove forse è arrivata l’ora di imparare a nuotare. In «Tempi un poco strani» spunta Lo Stato Sociale, si cita Totò e la rabbia sembra sul punto di esplodere, ma resta fuoco che brucia sotto la cenere. In «Prosperano i mostri», liricamente tra i brani più riusciti, ritorna il «fratello» Speaker Cenzou, il dialetto si alterna all’italiano, i momenti più tosti a qualche concessione più pop.
Tour al via in concomitanza con l’uscita del disco, il 22 aprile appunto, dall’auditorium Flog di Firenze, il 25 giugno appuntamento a Napoli, ippodromo di Agnano, con Subsonica e altri ospiti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA