Lino Guanciale al Campania teatro festival: «Napoli è talmente potente che fa metà del lavoro»

Questa sera l'attore abruzzese inaugura il progetto «Il sogno reale - I Borbone di Napoli» in Villa Floridiana

Lino Guanciale torna a Napoli
Lino Guanciale torna a Napoli
di Luciano Giannini
Lunedì 12 Giugno 2023, 11:50
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In autunno lo vedremo nella sua prima serie girata per Sky, «Un'estate fa», un mistery che gioca tra passato e presente e salti nel tempo, con altri eccellenti attori come Filippo Scotti, Paolo Pierobon e Anna Ferzetti. E lo vedremo anche nella nuova serie sul commissario Ricciardi di Maurizio De Giovanni: «Dobbiamo soltanto decidere il periodo migliore per le riprese, che cominceranno comunque non prima dell'anno prossimo».

Lino Guanciale è sempre più richiesto da cinema, tv e teatro, tra i quali si divide incarnando quella nuova generazione di attori e registi dallo sguardo ampio e contemporaneo, che non amano le separazioni tra le arti dello spettacolo, considerandole tutte strumenti per esprimere il meglio. Stasera e mercoledì l'attore di Avezzano (classe '79) sarà ospite del «Campania teatro festival»: stasera, in Villa Floridiana, inaugurerà il progetto «Il sogno reale - I Borbone di Napoli», con cui il direttore della rassegna, Ruggero Cappuccio, affida da anni a svariati scrittori il compito di scrivere storie inedite sulla loro epoca, affidando la lettura a attori di diversa provenienza.

Lino: «Leggerò “Tracce di pittura - O della misteriosa scomparsa della tavola del Giorgione”, un testo in cui Fabio Pisano gioca con la fantasia su una presunta Sacra famiglia dell'artista veneto, che sarebbe stato inviato alla famiglia reale di Napoli e mai sarebbe giunta.

In realtà, alcune lettere fanno riferimento al dipinto, partito da Teramo e scomparso. L'indagine non ha esito, ma il racconto è intrigante perché resta sospeso tra l'equivocità della vicenda e l'ambiguità di Giorgione; e riflette anche sulla responsabilità, perché chi ha avuto tra le mani il dipinto fa di tutto per evitare l'accusa di averlo smarrito. Insomma, la storia con la lettera minuscola scomoda quella con la maiuscola».

Esattamente il contrario avviene in «Napoleone. La morte di Dio», mercoledì sera al Politeama. Con Guanciale saranno Simona Boo e Carlo Capitanelli. L'autore, Davide Sacco (come Pisano un altro napoletano) trae ispirazione dal reportage che Victor Hugo scrisse sui funerali pubblici di Bonaparte, avvenuti quasi 20 anni dopo la sua morte. Guanciale: «Il governo in carica li subì come una scomoda, dolorosa necessità. Hugo ne restò sempre più coinvolto. Nelle sue parole si respira la grandezza della traccia lasciata da un padre della nostra modernità e il confronto con altri uomini, inadeguati a sostenerla. Qui è la Storia più nobile che fa da specchio alle storia delle persone comuni. E il testo induce a riflettere anche sulla paternità: ogni padre può essere, per un figlio, il suo Napoleone. L'allestimento ha la forma di teatro nel teatro, come l'ambientazione contemporanea che, per finzione scenica, torna al 1821 (anno della morte di Bonaparte) e al 1840 (quello dei funerali)». 

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Lino, due autori napoletani?
«Amo interpretare nuove drammaturgie, anche perché il teatro che mi porto addosso è teatro di testo. Pisano e Sacco sono diversi, ma in entrambi si muove, alle loro spalle, una preziosa tradizione. Da quella, poi, ciascuno fa le proprie scelte: Pisano con la natura franta del parlato, Sacco con strutture più classiche che lui rinnova dall'interno».

Com'è stata l'esperienza con Paolo Genovese nel film «Primo giorno della mia vita»?
«Quattro giovani decidono di farla finita. Un personaggio misterioso li riunisce e dà loro una settimana per riflettere e scegliere se concedersi una seconda possibilità. Ecco, la forza del film sta nella capacità di trattare con leggerezza e sensibilità temi gravi e una storia quasi irreale, mettendo insieme talenti veri come Servillo, Mastandrea, la Bui».

Infine, il commissario Ricciardi.
«Nella prossima serie porteremo sul set i romanzi di de Giovanni rimasti, fino al Pianto dell'alba».

Di lui che cosa le piace?
«Amo i personaggi che esprimono una palese diversità e ne patiscono l'inadeguatezza. Di Ricciardi, in particolare, mi interessano gli effetti».

Si spieghi.
«La mia prima domanda fu: come rendere empatica una creatura che è chiusa a riccio ed evita gli altri per colpa del proprio segreto, il potere di percepire le ultime parole pensate o pronunciate dalle vittime di morte violenta? Per nulla carismatico, o tenebroso, Ricciardi ha alzato un muro intorno a sé e, perciò, può risultare respingente. Io ho lavorato perché non lo fosse».

Il pubblico gli ha dato ragione. E come si lavora sul set, a Napoli?
«Parto in vantaggio, perché la città fa metà del lavoro. Il contesto è talmente evocativo e potente, che già in partenza stai a un metro da terra». 

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