Di Lorenzo è impietrito sulla linea di fondo campo ma non indietreggia. È il capitano, ha mezzo passo in avanti rispetto agli altri che sanno di non potersi sottrarre. Non ha la forza di avanzare verso la curva degli ultrà infuriati, non sa cosa sia la cosa giusta da fare. Trenta secondi immobili, Giovanni Di Lorenzo e gli altri a guardare negli occhi la rabbia degli ultrà. «Ve li diamo noi, ve li diamo noi...i coglioni ve li diamo noi». Esitano, l’aria è gelida ma ribolle di tensione. Non c’è polizia, gli steward sono pochissimi: basterebbe un balzo perché i tifosi del Napoli piombassero nel campo. Restano lì, invece. Composti. Qualcuno scavalca, si avvicina a Di Lorenzo, lo invita ad andare a parlare con i capi che li aspettano. Una specie di convocazione. Una scena orribile, già patita, subita e sopportata la notte della tragedia di Ciro Esposito, quando all’Olimpico Marek Hamsik fu costretto a dialogare con Genny La Carogna. È surreale, glaciale ma Di Lorenzo avanza, da solo. E si avvicina alla grata. «Non siete degni, vi dovete vergognare, quella maglia non potete indossarla», gli urlano. Il difensore deve patire il sermone degli ultrà, il richiamo alle responsabilità. Il clima è pesante. Piano piano è Pasquale Mazzocchi il primo ad avvicinarsi, quasi a dare sostegno al suo capitano. È una contestazione durissima, violentissima sotto il profilo verbale. Un minuto, forse meno, di convocazione degli ultrà. Poi anche gli altri si accostano al settore ospite, strapieno come sempre di cuori azzurri. Nessuno ha lasciato il campo, anche Victor Osimhen ascolta gli insulti del popolo napoletano ferito da questa ennesima caduta. Di Lorenzo lascia la pista, si allontana lentamente, la squadra fa lo stesso e va verso lo spogliatoio. Il coro riprende. E quel «i campioni dell’Italia siamo noi» è diventato un coro di odio-amore «la vergogna dell’Italia siamo noi».
La contestazione
Mazzocchi racconta quei momenti, prova a ridimensionare il sermone degli ultrà, la convocazione sotto la curva, come se fosse stata una cosa normale. «I tifosi fanno tanti chilometri e sacrifici per stare al fianco alla squadra, è giusto ascoltarli. Sono arrivato quando è arrivato Mazzarri, è una squadra che era in difficoltà e sto cercando di mettere quanto più entusiasmo alzando l'intensità degli allenamenti». Racconta ancora: «Non è un buon momento, stando fuori soffro tanto e oggi per me era un'occasione importante ma ieri sera non sono stato tanto bene. Nel secondo tempo il mister mi ha chiesto e gli ho dato l'ok per entrare». Intanto, spariti i calciatori, lo stadio piomba in un silenzio irreale. Aurelio De Laurentiis, visto il gran freddo di Empoli, ha seguito gran parte della partita nello spogliatoio, davanti alla tv.
Il clima è pesante, la squadra non reagisce i cori sono interminabili. Tutti contro. Non c’è mai un momento in cui gli ultrà sostengono la squadra. La rottura è totale: un anno fa era un amore senza fine. C’è persino Luciano Spalletti ancora sugli spalti, come domenica scorsa con il Frosinone: il selezionatore è con Domenichini, ma a fine gara fa molta attenzione a esprimere giudizi su questo Napoli. Anche se molti tifosi in tribuna non fanno che avvicinarsi per incitarlo, fargli i complimenti. Lui fa solo qualche smorfia e null’altro. Del suo Napoli non c’è praticamente più nulla, neppure le macerie.