Internet, la guerra delle radio
Un software ha ucciso il dj

Internet, la guerra delle radio Un software ha ucciso il dj
di Federico Rocchi
Mercoledì 5 Giugno 2013, 11:57 - Ultimo agg. 11:58
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ROMA - Le anticipazioni che precedono le presentazioni dei grandi nomi tecnologici stavolta parlano chiaro: per la Worldwide Developers Conference Apple, a San Francisco dal partire dal 10 giugno, il nuovo servizio protagonista sar "iRadio" (soprannome non confermato da Cupertino) ovvero il servizio di streaming musicale (probabilmente) gratuito, parallelo al negozio iTunes e contrapposto a Pandora, Spotify, Google Play e tutte le webradio spesso sconosciute. L'accensione dei server di Google Play Music ha probabilmente fornito la spinta necessaria a superare le difficoltà di lancio del servizio, legate soprattutto alla remunerazione dei diritti delle major discografiche le quali considerano Apple in grado di sostenere costi superiori alla concorrenza. Secondo il New York Times, soltanto Sony Music Entertainment e Sony/ATV non hanno ancora compiutamente deciso se accettare l'offerta di pagamento Apple, a differenza di Warner Music che ha siglato un accordo completo pochi giorni addietro e Universal Music che ha dato luce verde ma solo per uno dei due capitoli in discussione. Il modello di remunerazione Apple, secondo il Financial Times, prevede una parte fissa svincolata dal numero di tracce riprodotte, una royalty simile a quella pagata da Pandora per blocchi di 100 tracce e una quota della pubblicità inserita (verosimilmente tagliata sul profilo dell'ascoltatore), in aggiunta al seducente scenario di aumento diretto delle vendite tramite iTunes Store che conta 500 milioni di utenti contro i 70 di Pandora.

Sony Music Entertainment ha più di un motivo per titubare, la scelta dovrà necessariamente confrontarsi con il business complessivo della casa nipponica che come Apple produce apparecchi che hanno bisogno di essere alimentati da contenuti, magari in esclusiva, oltre a fornire essa stessa un servizio di streaming. Chi acquista un telefono o un computer Apple, lo sappiamo, finisce per comodità (se non è proprio obbligato) con l'usare il servizio di streaming Apple, così come chi acquista un lettore Blu-ray Sony finisce col servirsi del Sony Entertainment Network e del suo Music Unlimited. Offrire gli stessi contenuti a concorrenti che giocano su tutti i tavoli può essere controproducente.

In aggiunta alle difficoltà commerciali, inoltre, ci sono altre criticità. La differenza fra un servizio di streaming ed il semplice negozio online oggi è sempre più sfumata, una decina di anni addietro sarebbe stato diverso: la limitata velocità della rete imponeva due modelli di fruizione diversi. "Streaming" voleva dire iniziare l'ascolto subito, mentre il file era ancora in fase di scaricamento, come bere da una bottiglia parzialmente piena che nel frattempo continua a riempirsi. Oggi per trasferire i 5 Mb di una canzone occorrono forse due secondi quindi si potrebbe anche aspettare. Con "streaming", però, s'intende anche che dopo l'ascolto il file (uno solo se i brani sono miscelati fra loro) viene automaticamente cancellato ma questa è solo una scelta superabile: tutti sappiamo che è possibile registrare un flusso audio digitale.

Sul piano culturale, infine, è certamente criticabile affidare ad un software la scelta dei brani da ascoltare, naturalmente scalettati non solo sui "gusti" dell'ascoltatore decisi in base agli acquisti già fatti ma anche sulla necessità di dover spingere nuove proposte inserite senza alcun vaglio intellettuale nella playlist di milioni di persone. Insomma una gran complicazione, soprattutto ripensando alla vecchia radio di Marconiana memoria dove era tutto più semplice, il modello di business era fuso col modello di fruizione e col modello fisico: un apparecchio con due o tre manopole, un'antenna, premevi un bottone e si sentiva. E si sentivano non semplici canzoni fatte per piacere a tutto il mondo per un paio di settimane ma programmi di canzoni, scalette che ancora non si chiamavano playlist, messe insieme da menti umane con arte, esperienza e senso logico, con voci mitiche a spiegare le scelte, magari influenzate da quello che sta succedendo nelle strade sottocasa. Proprio nel momento in cui la radio broadcast, quella vera, sarebbe pronta per diventare DAB - Digital audio broadcasting - con tutti i vantaggi del caso, il concetto stesso della parola "radio" risulta azzerato dall'apposizione di una piccola "i". Viene in mente di cambiare il vecchio "non sparate sul pianista" in "non uccidete il disc jockey"!
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