«Faremo chiarezza nelle sedi opportune, abbiamo piena fiducia nella magistratura». È quanto sostengono i vertici aziendali della Cosmopol Spa, finita al centro di un' altra inchiesta, dopo che la Procura di Milano, il 30 agosto, ha commissariato la società nominando un amministratore giudiziario, Giovanni Falconieri, per le denunce di caporalato presentate da alcuni ex dipendenti e dipendenti.
Il magistrato, Paolo Storari, al quale è stato affidato il fascicolo d'inchiesta - che ha firmato il decreto d'urgenza di commissariamento per la società che ha il quartier generale ad Avellino e sedi dislocate in tutta Italia e che viene considerata la seconda impresa nel settore nel panorama italiano - ha stabilito che l'amministratore giudiziario dovrà seguire esclusivamente i servizi di portierato e guardiania (vigilanza non armata) e non quelli fiduciari (trasporto e custodia di valori). Dunque l'attività della società proseguirà tranquillamente avvertono i vertici aziendali che si dicono "sereni". Il fascicolo d'inchiesta è stato aperto dopo che una dipendente aveva presentato la denuncia. Dopo di lei altri dieci dipendenti avevano confermato quanto denunciato dalla donna. Dalle testimonianze raccolte dagli inquirenti milanesi è emerso uno spaccato poco rasserenante, condizioni lavorative pessime, nonché episodi di body shaming, oltre che paghe da fame.
Nelle 17 pagine del decreto che dovrà essere convalidato del giudice per le indagini preliminari, oltre alle dichiarazioni messe a verbale di dipendenti che testimoniano le paghe sotto la soglia di povertà, sono contenute anche le minacce e le intimidazioni che avrebbero subito i lavoratori se si opponevano.
Stando alle dichiarazioni rese dai dipendenti agli inquirenti in fase di indagini è emerso che nonostante avessero sottoscritto dei contratti full time - a 40 ore a tempo indeterminato e dovendo lavorare per 8 ore al giorno - alcuni di loro prestavano attività lavorativa anche per un totole di 240 ore al mese. Stando a quanto riferito da un dipendente quest'ultimo era costretto a lavorare durante i turni di riposo oppure nei week-end svolgendo turni quotidiani anche di dodici ore, percependo una busta paga di soli 870 euro lordi. Dall'inchiesta condotta dalla procura di Milano si evince che i dipendenti erano costretti a turni di lavoro estenuanti anche mediante intimidazioni o minacce. In un caso particolare una dipendente, madre di due bambini, è stata costretta a far ricorso al licenziamento a causa delle continue pressioni ricevute ed ancora dalle testimonianze acquisite dagli inquirenti meneghini emergerebbe l'evenienza che chi si rifiutava di svolgere tale onerose lavorative, senza riconoscimento dei diritti minimi (malattie e ferie retribuite) poteva essere trasferito in sedi lavorative lontane.