«Ogni sera che torno a casa e registro che almeno a livello di sicurezza non ci sono stati problemi nelle mie scuole, tiro un grosso sospiro di sollievo. Ma il carico di responsabilità è molto pesante. Prima potevo vantarmi di conoscere tutti i miei alunni, adesso è difficile persino ricordare i tanti docenti e collaboratori». A parlare è Franco Di Cecilia, consigliere provinciale di Avellino e dirigente scolastico con un singolare record a livello nazionale. «Ho in carico - racconta 38 plessi scolastici disseminati in undici piccoli comuni, per giunta difficilmente raggiungibili e a una distanza l’uno dall’altro fino a 38 chilometri. Sono il primo in Italia, e chi è al secondo posto di plessi ne ha solo, si fa per dire, sedici. È concepibile una cosa simile? Come si fa ad immaginare che un preside possa avere quotidianamente sotto controllo cosa succede in tutti i suoi istituti?».
Domande legittime che Di Cecilia ha già posto anche all’assessore regionale all’Istruzione, Lucia Fortini, senza però ricevere una risposta. Il preside di Sturno, in passato anche sindaco e da sempre impegnato in politica in posizioni vicine al centrodestra, va avanti grazie alla sconfinata passione per il suo lavoro, che egli considera una missione, e alla sua ferrea volontà. Di Cecilia si divide tra scuole dell’infanzia, elementari e medie dei suoi istituti comprensivi. «La scuola in cui sono dirigente titolare, il “Pascoli”, ha sedi tra Frigento, Gesualdo, Sturno e Villamaina. Le altre delle quali ho la reggenza sono disseminate su più strutture in ulteriori sette piccoli centri. Raggiungerli tutti, verificare l’andamento della didattica, eventuali esigenze e problematiche richiede giorni. Poi ci sono i consigli d’istituto, gli esami, le iniziative e tutto quanto fa parte del corredo scolastico degli alunni e delle incombenze da espletare come datore di lavoro nei confronti degli insegnanti e dei dipendenti».
E dire che il caso Di Cecilia, come altri sparsi nelle altre aree interne d’Italia, nasce da un grosso equivoco: quello generato da una legge del 1952 che stabilisce quali sono i comuni montani. «Questa norma utilizza il criterio dell’altitudine media combinato con il dislivello e considera comuni montani quelli per cui tra il punto più alto e quello più basso ci sono 600 metri.
Di Cecilia, attingendo dalla sua esperienza, ha già espresso anche alcune proposte per correggere il tiro e adeguare i nuovi parametri del dimensionamento scolastico alle realtà irpine e campane. «Dalla Provincia di Avellino deve partire una vertenza nei confronti della Regione e del Parlamento italiano. Questo parametro dei 900 alunni per noi, in Irpinia, sarebbe altamente penalizzante. I numeri delle soppressioni delle istituzioni scolastiche sarebbero ancora più severi. Per questo motivo il Governo deve abbassare drasticamente questo coefficiente e introdurre delle deroghe per quanto riguarda i territori montani, specificando che per essi si intendono quelli dove la popolazione abita davvero in montagna. Inoltre, vanno introdotti anche altri principi come ad esempio il numero dei paesi o dei plessi da accorpare e la distanza tra i comuni che non deve essere superiore a 20-25 chilometri. All’assemblea regionale di giovedì non ho ravvisato né consapevolezza né competenza. Mi è sembrato che si recitasse a soggetto, ognuno guidato da identità politiche e non da riferimenti tecnici. Vogliamo sapere se Palazzo Santa Lucia è disponibile a rimodulare i comuni montani, sperando che non prevalgano logiche politiche o di centralità geografica».