Isochimica, la strage infinita:
morto un altro ex operaio

Isochimica, la strage infinita: morto un altro ex operaio
di Rossella Fierro
Domenica 30 Giugno 2019, 14:00
3 Minuti di Lettura
Il numero di operai ex Isochimica deceduti sale a ventotto. Dopo l'ultimo decesso di qualche settimana fa, quello di Giovanni Venezia, oggi gli ex scoibentatori piangono la perdita di Gianmario Parlato. L'uomo si è spento improvvisamente nella notte tra venerdì e sabato nel suo appartamento. Non sembra avesse particolari problemi di salute, ma il suo nome figura nello sterminato elenco delle parti civili costituite al processo. E, per quanto al momento sia troppo presto per dire se le cause della sua morte siano legate all'inalazione di fibre di amianto negli anni di lavoro alla fabbrica di Borgo Ferrovia, il volto di Gianmario Parlato è divenuto, probabilmente a sua insaputa, uno dei simboli della mattanza di Borgo Ferrovia.
 
È lui il giovane alto con baffi, occhiali e camicia bianca immortalato in uno dei pochi momenti di svago dal lavoro. E' lui uno dei protagonisti della storica foto diffusa anni fa dal compianto Giovanni Maraia, scattata ad un gruppo di operai che, senza alcuna protezione, festeggiavano un compleanno con un brindisi proprio all'interno di una carrozza ferroviaria arrivata nei capannoni di Borgo Ferrovia per essere bonificata dall'amianto. Prova provata di un sogno, quello di un'occupazione stabile, affrontato con il sorriso da quei 333 giovani assunti da Elio Graziano per lavorare per conto di Ferrovie dello Stato ignari del pericolo che correvano. Il nome di Gianmario Parlato, che lascia i suoi figli, tra loro Salvatore ragazzo ben voluto da tutti e noto per la sua attività di giocatore di basket professionista, era assistito dall'avvocato Brigida Cesta che lo ricorda come un uomo perbene e molto riservato. Come tutti gli altri, anche lui si era costituito al processo in corso a Napoli presso l'aula bunker del carcere di Poggioreale. Classe 1955, Parlato ha lavorato all'Isochimica dal 9 luglio 1984 al 31 marzo 1989 e aveva ottenuto dall'Inail il riconoscimento della malattia professionale per ispessimento pleurico, come si evince dagli atti del processo. Ad inizio maggio l'ultimo decesso: Giovanni Venezia, uno dei testi chiave che la Procura avrebbe voluto ascoltare in sede di processo senza riuscirci perché le sue condizioni di salute erano precipitate, ha lasciato moglie e figli a soli 53 anni dopo aver combattuto contro una grave forma tumorale. Ora la famiglia, originaria di Grottolella, attende i risultati dell'esame autoptico disposto dalla Procura prima di costituirsi al processo. Una tragedia infinita che preoccupa sempre di più gli ex operai Isochimica che lanciano, per l'ennesima volta, un appello alle istituzioni affinché, oltre ad accelerare il riconoscimento dei prepensionamenti esteso grazie al Decreto Crescita anche a coloro i quali non era ancora stato riconosciuto il diritto alla quiescenza, a riportare il processo ad Avellino. Solo ventiquattro ore prima dell'ennesima tragica notizia, si era tenuta a Napoli la prima udienza estiva del processo, poi sospesa perché, nell'aula bunker di Poggioreale, la temperatura aveva sfiorato i 40 gradi rendendo impossibile il prosieguo dei lavori. Ed è al sindaco Gianluca Festa che ora si rivolgono gli operai. «Il processo è stato letteralmente espulso dalla città in cui si è consumato il dramma- tuona Carlo Sessa- nel silenzio e nel disimpegno generale. In due anni abbiamo tentato diverse soluzioni, ci hanno detto che nessuna delle sedi che avevamo individuato andava bene. Faccio l'ennesimo appello al neoeletto sindaco Gianluca Festa, affinché si impegni, ma seriamente non a chiacchiere, a fare la sua parte per restituirci giustizia. Lo spostamento del processo a Napoli è uno schiaffo in faccia alla città, alla sua memoria storica, ma soprattutto a noi. Questa notte, dopo aver passato ore in una serra, perché non posso definire diversamente l'aula di Poggioreale, nelle condizioni fisiche in cui siamo, e dopo aver affrontato il viaggio da Napoli ad Avellino, molti ex colleghi sono stati male. E' vergognoso dover subire ancora, dopo trenta anni, ingiustizie su ingiustizie nell'indifferenza collettiva. Il sindaco si ponga il problema e trovi una soluzione in città o nell'hinterland. Dimostri di non essere indifferente al nostro dramma».
© RIPRODUZIONE RISERVATA