Nell'ex carcere la nuova «casa» dei migranti

E' finito dopo 40 anni l'iter per la trasformazione dell'ex casa circondariale

L'ex carcere
L'ex carcere
di Luella De Ciampis
Mercoledì 17 Maggio 2023, 09:21
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Sono appena stati conclusi i lavori dell'ex carcere di Morcone destinato a centro di prima accoglienza per i migranti ed è già pronto il bando per l'affidamento dei servizi alla società che prenderà in carico la gestione della struttura. È arrivato al capolinea, dopo oltre 40 anni, l'iter complesso dell'ex casa circondariale di contrada Piana, cominciato con la sua costruzione, avvenuta negli anni 80 e la destinazione a carcere di massima sicurezza. Una «cattedrale nel deserto» mai entrata in uso, come altre 40 carceri "fantasma" disseminate sul territorio nazionale che, negli anni, è diventata oggetto di polemiche e confronti in diversi ambiti, in seguito alle decisioni, poi accantonate, di destinare l'immobile ad altri usi quali, per esempio, un centro di recupero per tossicodipendenti.

L'architettura degli alloggi, opportunamente modificata nel corso degli ultimi anni, consente di ospitare 75 persone. Il fabbricato è, infatti, costituito da 40 camere singole con bagno e da piccoli appartamenti da destinare ai gruppi familiari, oltre a essere provvisto di una cucina comunitaria e di spazi comuni per il tempo libero. Insomma, si tratta di un rifugio confortevole, riadeguato in base alla variante del progetto originario, poco distante dal centro abitato e facilmente raggiungibile.

A metà maggio del 2021, la giunta Ciarlo aveva approvato la variante al progetto esecutivo per rendere la struttura più consona alle esigenze dettate dalla nuova destinazione d'uso, per trasformare la casa circondariale di contrada Piana e i bunker costruiti in una prima fase, in cui si era pensato di farne un carcere di massima sicurezza, in un edificio con le caratteristiche richieste dal ministero dell'Interno per farne un centro di prima accoglienza.

In quest'ottica, l'amministrazione aveva richiesto e ottenuto che venisse ridimensionato il numero dei migranti da ospitare che, in base alle nuove disposizioni, fosse portato da 120 a circa 70.

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Un compromesso accettabile per il Comune che, in prima battuta, aveva chiesto di farne una "Cittadella della solidarietà", a disposizione di tutta la valle del Tammaro e dell'intero Sannio per ricavare appartamenti da destinare a forme di housing sociale, sia per i residenti, che per i nuclei familiari di migranti, allo scopo di favorire la vera integrazione di persone disagiate, a prescindere dai luoghi di provenienza.

Ora, il carcere risulta adeguato ai requisiti minimi comuni richiesti dalla normativa, per l'organizzazione e la gestione dei centri di prima accoglienza. Il primo requisito, cui la struttura risponde pienamente, è rappresentato proprio dalla sua collocazione in un luogo non isolato, facilmente raggiungibile, che consente agli ospiti di partecipare alla vita sociale e di avere un facile accesso ai servizi del territorio.

La possibilità di raggiungere agevolmente i servizi diventa, infatti, tanto più importante, quanto più l'accoglienza viene impostata come il primo passo di un processo che tende a rendere autonomi gli immigrati, per familiarizzare con l'ambiente circostante. Per quanto riguarda gli aspetti igienico-sanitari, il centro è stato dotato di servizi igienici adeguati e in numero sufficiente, in rapporto alle persone che vi saranno accolte, attraverso la razionalizzazione degli spazi esistenti, la creazione di una sala mensa e di aree comuni. Il placet del Viminale al progetto di variante era arrivato a febbraio 2020, in seguito alla sospensione dei lavori effettuata a fine marzo 2019, in attesa di possibili varianti da apportare alla struttura, subito dopo aver scongiurato il rischio di adibirlo a Cpr (centro di permanenza per il rimpatrio), secondo quanto deciso dal Ministero dell'Interno. La notizia della possibilità che si decidesse per l'istituzione di un Cpr nell'ex carcere, nel giro di poche ore, aveva fatto il giro del paese, suscitando reazioni di rifiuto in seno alla comunità, preoccupata che in un paese di poche anime, in una zona adiacente all'abitato, potessero essere accolti cittadini stranieri, senza i regolari permessi di soggiorno e senza prospettive di integrazione.
 

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