Aldo Balestra
Diritto & Rovescio

Che Paese è il Paese
in cui si minaccia Segre

La senatrice a vita Liliana Segre, sotto scorta, all'inaugurazione dell'esposizione a Milano sul censimento degli ebrei nel 1938
La senatrice a vita Liliana Segre, sotto scorta, all'inaugurazione dell'esposizione a Milano sul censimento degli ebrei nel 1938
Aldo Balestradi Aldo Balestra
Domenica 11 Dicembre 2022, 12:18 - Ultimo agg. 22 Febbraio, 17:02
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«Inchiesta a Milano su minacce e insulti a Liliana Segre» (Ansa, 9 dicembre 2022. ore 18.27)
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A volte ti svegli e ti chiedi in che Paese vivi. Che Paese sta diventando l'Italia dove esistono, ma soprattutto sono in pericolosa crescita, groppuscoli e piccoli eserciti di uomini e donne portatori di odio, risentimento, negazionismo, complottismo, quasi tutti infarciti di fanatismo estremo con una matrice pseudo religiosa e politica. Il più delle volte si tratta di persone che avrebbero bisogno, principalmente, di una cosa: un (buon) libro di storia. Forse così recupererebbero un minimo di decenza, coerenza e continenza, evitando che la magistratura di un Paese democratico debba occuparsi di loro per l'esposto presentato da una pacifica vecchina di 92 anni, costretta a vivere sotto la scorta dei carabinieri, per le minacce ricevute in tutti i modi, negli ultimi anni, da gente come loro.

La vecchina in questione si chiama Liliana Segre, nata a Milano nel 1930 da una famiglia ebrea e che, solo per questo, ha dovuto vivere sin da bambina una sconvolgente esistenza, che racchiudiamo in un numero: 75170. E' il segno indelebile di un dramma che si porterà dentro, mica solo marchiato sulla pelle, fino alla morte.

E' questo il numero che Liliana Segre, nominata nel 2018 senatrice a vita dal presidente Mattarella per i suoi meriti di infaticabile testimone dell'orrore, ha tatuato sul braccio. Aveva 14 anni quando il numero di matricola le venne impresso nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. In un anno era stata già arrestata a causa delle leggi razziali e aveva fatto 40 giorni di carcere, prima di essere stipata con il padre su uno dei vagoni in partenza dal binario 31 della Stazione di Milano, lei deportata tra i deportati destinati ai campi di concentramentro tedeschi.

Cosa Liliana Segre abbia vissuto in un anno di prigionia nei lager prima della liberazione, insieme ad altri 25 bambini, da parte dei soldati dell'Armata Russa è facilmente riscontrabile.

Non bisogna essere dei geni, è storia. Semplicemente. Una storia che non finì certo con il trauma del rientro di Liliana in un Paese liberato, «io come un animale ferito», superstite dell'Olocausto che non riusciva a raccontare, e non è riuscita a farlo per decenni, prima di diventare una diretta, pacata, lucida testimone attiva della Shoah.

Quanto coraggio, puahh, in chi (e sono tanti) la offende via mail, con post sui social e in ogni altro modo. Lei che ha sopportato ben altro, sì ben altro, ad un certo punto ha iniziato a denunciare. Denunciare chi fomenta queste campagne d'odio e tende così a sconvolgere e rimuovere la storia. No, il ricordo va tutelato ed anzi alimentato, utile per capire dove stiamo andando. Ed invece, ecco aperti fascicoli d'indagine per minacce, diffamazione e istigazione all'ordio razziale. Tra i 24 indagati c'è di tutto: gente anonima ossessionata dai suoi fantasmi, chef seguitissimi sui social che lasciano alimentare sui fornelli strampalati giudizi politici fino a provocare incendi, odiatori di professione , persino gente che crea nick name perché non ha (neanche) il coraggio di firmarsi.

Ecco, che Paese stiamo diventando? Non abbiamo bisogno per forza di una Nazionale di calcio ai Mondiali, per dimostrarci di esistere. Pensiamo piuttosto come il Paese possa avere uno scatto d'orgoglio e di ragione di fronte a storie come quella qui raccontata. Non serve buonismo peloso, per dire che l'Italia è altro.
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«La storia è il notaio della coscienza pubblica» (C.Belgiojoso, Scuola e famiglia)

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